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Il Calvario Palestinese

Lo scopo di questo testo è informare sulle origini e il contesto storico -spesso ignorati- della creazione dello Stato d’Israele. È stato scritto alla fine degli anni ‘70, ma resta sempre attuale.

INTRODUZIONE

Il popolo Palestinese vive da decenni un calvario ignorato da un gran numero. È a esso che i «credenti indipendenti» indirizzano quest’opera il cui scopo è dare una rapida idea storica dei fatti salienti che hanno provocato l’insanguinato e iniquo espatrio dei Palestinesi.

Con questo testo i «credenti indipendenti» fanno appello a tutti gli uomini liberi, invitandoli a contribuire al ristabilimento della Giustizia agendo per mettere fine all’inammissibile calvario subito da un intero popolo, oggetto di un genocidio senza precedenti, orchestrato dai sionisti e dai loro agenti nel mondo. Questo ristabilimento della Giustizia si opera tramite la solidarietà al popolo Palestinese nella sua giusta lotta per recuperare i suoi diritti legittimi e per stabilire il suo Stato democratico indipendente.

Presentiamo la tragica storia del popolo Palestinese in due tempi:

  1. Prima dell’esilio forzato del maggio 1948, come risultato del riconoscimento dello Stato ebraico dall’O.N.U.
  2. Dopo l’esilio il calvario prosegue sia nella Palestina occupata che nei territori dell’esilio.

Noi non parliamo per antisemitismo, ma per preoccupazione per la Giustizia e la Verità.

PRIMO TEMPO: La Palestina e i Palestinesi

La storia ci insegna che la Palestina e i Palestinesi esistono da tempi immemorabili. Anche la Bibbia li menziona e descrive la Palestina come:

«…Un paese dove scorre latte e miele; ecco i suoi frutti. Ma il popolo che abita il paese è potente, le città sono fortificate e immense.» (Numeri 13,21-33)

Così erano apparsi la Palestina e i Palestinesi alle spie ebree mandate da Mosé a esplorare il paese. La regione dunque non era né deserta, né disertata.

Tuttavia un fatto è incontestabile: la Palestina è stata oggetto della bramosia umana durante i secoli. La cosa è ancor più spiacevole per il fatto che alcuni si sono concessi un diritto biblico su questo paese, provando ad attribuire a Dio un crimine che Egli non ha cessato di condannare tramite i profeti (Vedere il testo: «I Cristiani e Israele»).

La propaganda sionista moderna ha indotto il mondo occidentale in particolare a credere che la Palestina fosse un paese deserto, trasformato in giardino dalle mani miracolose israeliane e che secondo l’espressione della Sig.ra Golda Meir: «Non ci sono dei Palestinesi; non sono mai esistiti». Si comprende meglio così lo slogan sionista: «Date la terra senza popolo (la Palestina) a un popolo senza terra (gli Ebrei)». Ora la Palestina è sempre stata popolata e prospera e le belle arance di Giaffa sono sempre state coltivate dalle mani palestinesi.

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La Palestina è certo esistita: Lire Palestinesi utilizzate prima della creazione dello Stato ebraico

La Palestina appartiene ai Palestinesi come la Francia appartiene ai Francesi e l’America agli Americani. Nessuno può pretendere il contrario senza recare gravi pregiudizi alla Giustizia. Parliamo perché sentiamo che sia imminente il tradimento umano ai più alti livelli e che sia tempo di avvertire gli uomini di buona volontà, affinché non affondino nell’ingiustizia reclamando la liberazione di Barabba (vedere Matteo 27,17-26) rappresentato oggi dall’usurpatore sionista.

Perché la Palestina è dei Palestinesi.

Le mire sioniste sulla Palestina

I sionisti aspirano da secoli a stabilirsi in Palestina; «L’anno prossimo a Gerusalemme», si ripetono tra loro senza tregua. Sospinti dalla pretesa di essere il «popolo eletto», bramano la «terra promessa» che essi situano in Palestina. Ora questa è la proprietà legittima dei Palestinesi.

Per appropriarsene, i sionisti si sono riuniti in collaborazione con la Gran Bretagna prima, e con l’America poi, presentandosi come i protettori dei loro interessi in Medio Oriente. Avendo così fatto interessare gli Alleati al loro piano, sono riusciti a penetrare in Palestina, ivi installandosi sotto la loro potente protezione, usando la violenza per espellere i Palestinesi, esiliandoli fuori dalla loro patria.

I sionisti che sono immigrati in Palestina dai quattro angoli della terra hanno abitato in appartamenti ammobiliati sempre appartenuti a dei Palestinesi esiliati in tende e nelle minuscole baraccopoli che sono state chiamate «campi profughi Palestinesi». Quando gli Israeliani si sono impossessati con la forza di questi appartamenti, hanno trovato negli armadi abiti da uomo, da donna e da bambini che le famiglie Palestinesi, in fuga davanti all’aggressore sionista, non avevano avuto nemmeno il tempo di prendere.

Prima di diventare violenta, l’immigrazione sionista cominciò in modo abusivo nel 1880. Il terrorismo sionista è apparso più tardi, sotto il mandato Inglese. Ci sono stati tre gruppi sionisti terroristici noti: «Haganah», «Stern» e «Irgun». Questo ultimo fu comandato dal Primo Ministro israeliano, Menahem Begin, autore del triste massacro di Deir-Yassin e della distruzione del King David Hotel. Oggi, i sionisti accusano i resistenti Palestinesi di essere dei terroristi perché lottano per liberare la Palestina, loro patria.

Il Sionismo

Come istituzione il sionismo si concretizzò e costituì al congresso di Basilea nel 1897.

Théodore Herzl, il fondatore del sionismo politico, alla cui richiesta pressante si era tenuto questo congresso, preconizzò nel 1896, nel suo libro «Der Judenstaat», (Lo Stato ebraico) la colonizzazione della Palestina, finalizzata alla creazione di un Stato ebraico sovrano, le cui frontiere sarebbero state: «A nord: le montagne che dominano la Cappadocia (Turchia), a sud: il canale di Suez, a est: l’Eufrate». Questa definizione delle frontiere si basava su una falsa interpretazione dei testi biblici poiché l’Alleanza Mosaica fu dichiarata infranta dai profeti, particolarmente da Geremia che, già 500 anni prima del Cristo, aveva annunciato che una NUOVA ALLEANZA avrebbe sostituito la prima (vedere il testo «I Cristiani e Israele»). È dunque importante qui sottolineare che nessun legame esiste tra l’Israele della Bibbia e l’Israele del 1948 che ha usurpato questo nome per mascherare il furto della Palestina.
Al congresso di Basilea Herzl dichiarò:

«Siamo qui per porre la prima pietra della casa che ospiterà la nazione ebraica.»

Il programma che egli propose si può così riepilogare:

  1. Favorire una colonizzazione su vasta scala e razionalmente organizzata della Palestina per gli Ebrei.
  2. Ottenere il diritto riconosciuto internazionalmente di colonizzare la Palestina.
  3. Costituire un organismo permanente (Organizzazione sionista) per unire tutti gli Ebrei a difesa del sionismo.

Questa formula divenne la chiave della politica sionista.

Contesto storico

Manovre sioniste precedenti il 1914

Prima della I guerra mondiale l’egemonia turca si estendeva su tutto il Medio Oriente, ivi compresa la Palestina.

Nel 1901 Théodore Herzl fece un tentativo presso il Sultano turco Abdul Hamid, per convincerlo che gli Ebrei avrebbero potuto aiutare la Turchia a ristabilire le proprie finanze e a valorizzare le risorse naturali dell’Impero Ottomano. Propose la creazione di un’associazione Ebrea-Ottomana per la colonizzazione della Palestina e della Siria. Fu anche redatta da Herzl una carta, il cui articolo 3 «dava agli Ebrei il diritto di deportare la popolazione autoctona». Questo tentativo fallì.

Conseguentemente dal 1902 gli sforzi sionisti si diressero allora verso gli Inglesi e l’esecutivo della loro organizzazione avviò delle trattative con il governo britannico. I primi frutti di queste manovre apparvero nel 1914, quando il Cancelliere dello Scacchiere, Lloyd George, dichiarò, dopo un incontro con l’eminente sionista Haim Weizman:

«I dirigenti sionisti ci hanno formalmente promesso che se gli Alleati si fossero impegnati a facilitargli la creazione di un Focolare Nazionale ebreo in Palestina, essi avrebbero fatto del loro meglio per radunare gli Ebrei del mondo intero alla causa degli Alleati e ottenere il loro sostegno.»

Così durante la I guerra mondiale il movimento sionista fu radunato in Gran Bretagna che, da parte sua vide nel sionismo una base britannica nel Medio Oriente. A questo punto i sionisti operarono allo scopo di mettere fine all’egemonia turca in Palestina.

1914: Indebolimento della Turchia

Allo scoppio della I guerra mondiale nella Turchia già indebolita dalle guerre precedenti con i suoi vicini il potere era nelle mani del «Comitato Unione e Progresso» diretto da un Triumvirato formato da «Talaat, Djavid ed Enver». Questi ultimi due erano Ebrei «convertiti» all’Islam. Da segnalare che a quel tempo la Turchia era un Stato Islamico.
Quattro mesi dopo l’inizio della guerra il Triumvirato spinse una Turchia già esausta a entrare in guerra a fianco della Germania contro gli Alleati. Questo per darle il colpo di grazia e mettere fine all’egemonia Ottomana in Palestina, per porre quest’ultima sotto l’influenza britannica favorevole al piano sionista.

1916: L’accordo Sykes-Picot

Nel 1916, i governi britannico e francese conclusero segretamente un accordo di spartizione del Medio Oriente firmato dai loro rispettivi ministri degli Affari Esteri: Sykes e Picot. Quest’accordo pose la Siria e il Libano sotto mandato francese, la Palestina sotto mandato britannico.

1917: La Dichiarazione di Balfour

Gli sforzi dei sionisti furono coronati dal successo il 2 novembre 1917 quando Lord Balfour, il ministro degli Affari Esteri britannico, dichiarò in una lettera ad Edmond Rothschild:

«Il governo di Sua Maestà vede con favore la costituzione in Palestina di un focolare nazionale per il popolo ebraico, e si adopererà per facilitare il raggiungimento di questo scopo, essendo chiaro che nulla deve essere fatto che pregiudichi i diritti civili e religiosi delle comunità non ebraiche della Palestina…»

La collettività in questione era composta da Cristiani e Mussulmani; essa fu, nella sua grande maggioranza, espulsa dalla Palestina.

Difatti, il governo britannico fece del suo meglio per servire il sionismo. Non rispettò, invece, la seconda parte della sua dichiarazione: tre milioni di Palestinesi sono oggi esiliati dalla loro patria, il governo britannico non fece mai niente di concreto per impedire la sanguinosa tragedia. Più tardi, nel 1944, la risoluzione adottata dal comitato esecutivo del partito laburista britannico concluse:

«Incoraggiamo gli Arabi ad andarsene all’arrivo degli Ebrei.»

1918: L’Inghilterra nel Medio-Oriente

Il 3 ottobre 1918 il generale Allenby entrò a Damasco alla testa dell’esercito inglese, dichiarando di prendere il comando di tutti i territori occupati, inclusa la Palestina.

1920: Il Mandato Britannico

Il 25 aprile 1920 la Società delle Nazioni diede alla Gran Bretagna il mandato sulla Palestina. Nell’agosto dello stesso anno il governo britannico fece sapere che autorizzava all’immigrazione 16.500 ebrei ogni anno.

Da allora, e sotto mandato britannico, i flussi abusivi di immigranti sionisti vennero ad allargare le fila ebree in Palestina. I Palestinesi si opposero all’invasione della loro patria, ma gli Inglesi soffocarono ogni resistenza, non facendo, in contro parte, nessuno sforzo efficace per fermare l’immigrazione ebrea diluviale. Già nel 1925 il numero di 16.500 fu di molto superato diventando 33.801 immigranti, cioè il 3,5 % della popolazione, nel 1935: 60.000 immigranti cioè il 4,7% della popolazione.

Gli invasori sionisti miravano a rosicchiare immediatamente, sotto il mandato britannico, i terreni appartenenti ai Palestinesi, attentando così ai diritti delle collettività non ebree che vivevano in Palestina.

1929: Rivolta Palestinese

I Palestinesi manifestarono il loro malcontento verso il complotto giudeo-britannico. Numerosi scontri ebbero luogo tra Palestinesi e sionisti. Nell’agosto del 1929 un incidente riaccese le ostilità in tutto il paese, facendo 249 morti e 571 feriti.

1936: La rivolta Palestinese si organizza

Nell’aprile del 1936 i Palestinesi si rivoltarono. Costituirono un comitato supremo e indirono uno sciopero generale «affinché il governo britannico modificasse interamente la sua politica attuale e iniziasse a interrompere l’immigrazione ebrea». Lo sciopero durò sei mesi e l’insurrezione si diffuse in tutto il paese. Lloyd George commentò questi avvenimenti, dicendo lo stesso anno a Ben Gurion:

«Così, gli Arabi temono che la Palestina diventi un Stato ebraico!? Bene, essa diventerà un Stato ebraico.»

Difatti sin dal giugno del 1936 la Gran Bretagna armò gli Ebrei contro i Palestinesi la cui rivolta era divenuta allarmante. Migliaia di giovani ebrei furono così armati dagli inglesi e organizzati in unità territoriali per «aiutare a mantenere l’ordine». Essi costituirono il nucleo di un esercito ebraico operante alla luce del giorno, al fianco delle forze terroriste ebree clandestine della «Haganah». Il loro addestramento fu affidato dal generale Wiegal al maggiore Wingate, entrambi inglesi.

1937: l’Inghilterra propone la spartizione

L’Inghilterra raccomandò la divisione del paese in due Stati: Palestinese ed Ebreo. Fu la prima menzione fatta di un «Stato ebraico», le frontiere proposte superavano di molto le terre che possedevano all’epoca gli Ebrei, stimate nel 5,4% della Palestina. Lo Stato ebraico comprendeva il 25% della Palestina.
I capi sionisti esultarono e Ben Gurion disse a questo proposito:

«Questo Stato ebraico proposto non corrisponde all’obiettivo sionista, ma è solo un primo passo… Romperemo le frontiere che ci saranno imposte.»

In ottobre tra le altre misure prese dagli Inglesi per indebolire i Palestinesi, cinque dei membri più influenti del comitato supremo furono arrestati e deportati nelle isole Seychelles (Oceano indiano).

1939: Il sionismo vira verso l’America

Alla fine del 1939 la ribellione Palestinese fu domata: 5679 Palestinesi furono incarcerati e 110 impiccati.

Il 1 settembre 1939, scoppiò la II guerra mondiale. I sionisti, vedendo indebolirsi l’Inghilterra, cambiarono politica e cominciarono a virare verso l’America. Ben Gurion scrisse nelle sue note:

«La nostra preoccupazione maggiore era la sorte riservata alla Palestina dopo la guerra… Era manifesto che gli Inglesi non avrebbero conservato il mandato… Personalmente, non dubitavo che il centro di gravità dei nostri sforzi sarebbe passato dal Regno Unito all’America che stava assicurandosi il primo posto nel mondo, e dove si trovavano gli Ebrei più numerosi e più influenti.»

1941: Il sionismo si associa all’America

Gli Ebrei americani e i sionisti del mondo intero chiesero a gran voce la creazione di un Stato ebraico in Palestina dopo la guerra. I sionisti americani formarono comitati Giudeo-Cristiani che ebbero il compito di riunire i Cristiani e il clero degli Stati Uniti alla causa sionista. Essi riuscirono nel loro intento perché fondavano i loro argomenti su basi bibliche. Gli Ebrei non mancarono di approfittare del fatto che molti falsi cristiani -la maggioranza in America- interpretavano alla lettera la Bibbia, appoggiandosi a essa per giustificare le loro pretese sulla Palestina. Essi ottennero anche la cooperazione di giornalisti e di personalità ufficiali, iniettando così il nazionalismo Sionista nelle vene degli interi Stati Uniti.

1943: Il sionismo abbandona l’Inghilterra

Il 17 marzo Ben Gurion dichiarò che la fine della guerra non significava la fine della lotta ebraica, in quanto i sionisti in Palestina non avrebbero cooperato con le autorità britanniche.

1944-45: Terrorismo Sionista

Fine della II guerra mondiale.

I sionisti, entrati forzatamente in Palestina sotto la protezione degli Inglesi, praticarono sistematicamente il terrorismo contro i Palestinesi e gli alti funzionari del governo britannico. Riuscirono a ottenere il sostegno incondizionato del Presidente americano Roosevelt che, all’epoca della Conferenza di Yalta (febbraio 1945), disse a Stalin:

«Io sono sionista, e voi?», a cui Stalin rispose: «Lo sono, in principio, ma non ignoro le difficoltà.»

Dopo la morte di Roosevelt, Harry Truman succedette alla presidenza e sottoscrisse il programma sionista. Alle obiezioni sollevate da quattro ambasciatori americani in paesi Arabi, egli esclamò:

«Spiacente Signori, centinaia di migliaia si augurano ardentemente il successo del sionismo; non ho centinaia di migliaia di arabi tra i miei elettori.»

Nel luglio 1945 Truman intervenne presso al governo britannico per accordare agli Ebrei 100.000 certificati di immigrazioni.
Nell’agosto 1945 Ben Gurion richiese la creazione di un Stato ebraico.

1946: Distruzione del Quartier Generale Inglese

Il 22 luglio, Menahem Begin, alla testa di un gruppo di terroristi, fece esplodere il King David Hotel a Gerusalemme, quartier generale delle forze britanniche. Bilancio: 200 morti, per la maggior parte Inglesi.

1947: Voto dell’O.N.U. per la divisione della Palestina

L’11 ottobre, seguendo le istruzioni di Truman, il governo degli USA appoggiò all’O.N.U. il piano di spartizione della Palestina. Il prestigio dell’America incitò gli altri paesi a fare lo stesso.

Il 29 novembre l’Assemblea Generale dell’O.N.U. votò per la divisione della Palestina in tre zone: Palestinese, sionista e neutrale (Gerusalemme e i Luoghi Sacri).

La reazione degli Arabi fu immediata e violenta: manifestazioni di protesta furono organizzate in tutti i paesi Arabi. Nella Palestina stessa i Palestinesi non si erano ripresi dall’insurrezione del 1936-1939 a causa delle numerose perdite in vite umane, dell’esilio dei loro capi e della confische della quasi totalità delle loro armi da parte degli Inglesi. Non poterono dunque resistere agli Ebrei, organizzati e bene armati che intensificarono i loro atti terroristici per obbligarli a lasciare il paese. Attentati furono perpetrati in tutto il paese, particolarmente a Gerusalemme, Haifa, Giaffa, Safed, ecc… Gli Ebrei distrussero ponti, case, negozi, depositi… appartenenti ai Palestinesi.

1948: L’O.N.U. riconosce lo Stato d’Israele

Il massacro di Deir-Yassin: Il 9 aprile del 1948, il gruppi terrorista «Irgun» di Menahem Begin attaccò il villaggio Palestinese di Deir-Yassin. Gli abitanti furono selvaggiamente massacrati. Ben Gurion negò di avere avuto la benché minima responsabilità in questa barbaria. Menahem Begin, capo dell’Irgun, disse, parlando di Deir-Yassin:

«Non solo il massacro era giustificato, ma senza questa vittoria, lo Stato d’Israele non sarebbe esistito.»

Dopo questo massacro l’esodo palestinese si incrementò massicciamente per la paura di altri Deir-Yassin, fu così il primo passo verso l’espulsione dei Palestinesi, che disarmati e sotto la minaccia di terroristi sionisti, evacuarono intere città come Haifa, che cadde il 22 aprile del 1948.

I sionisti entrarono in questa città sparando all’impazzata, minacciando la popolazione attraverso altoparlanti, avvertendoli di fuggire se non volevano subire la sorte di «Deir-Yassin». I cittadini terrorizzati non ebbero altra scelta che fuggire gridando: «Deir-Yassin». Essi poterono fuggire esclusivamente in direzione del porto dove li stavano aspettando delle navi inglesi per portarli in altri paesi arabi. Solo in quella notte, Haifa, che contava circa 100.000 abitanti, si svuotò per metà.

Chiudendo gli occhi davanti al terrorismo israeliano, l’America continuò a sostenere incondizionatamente i sionisti; il 23 aprile del 1948, il Presidente Truman informò Weizman che se lo Stato ebraico fosse stato proclamato, gli Stati Uniti lo avrebbero riconosciuto immediatamente.

Il 15 maggio 1948 si concluse il mandato britannico. Alle 9 del mattino l’ultimo Alto-commissario britannico lasciò il paese. Alle 16 Ben Gurion proclamò lo Stato d’Israele alla presenza di 200 personalità, fotografi e giornalisti.

Nello stesso giorno le forze ebree occuparono Akko e la Galilea Occidentale cacciandone gli abitanti.

Lasciando Gerusalemme, i britannici consegnarono gli edifici di maggiore importanza strategica alla Haganah. Dall’alto di questi edifici Haganah attaccò i quartieri residenziali Palestinesi della città occupandoli, senza potere penetrare nella città vecchia che conteneva i Luoghi Sacri a causa della forte resistenza che i Palestinesi opposero.

Solo sedici minuti dopo la proclamazione d’Israele da parte di Ben Gurion il governo americano riconobbe Israele. L’Unione Sovietica fece lo stesso l’indomani.

Con la proclamazione dello Stato d’Israele 1.000.000 di Palestinesi furono esiliati dalla loro patria. Fino al maggio del 1948 i Palestinesi avevano dovuto soffrire del sionismo in Palestina, nel loro focolare. Dopo il 1948 il calvario Palestinese si aggravò ancora e continuò sotto l’occupazione sionista e in esilio.

Tutto questo popolo, le cui famiglie sono oggi smembrate, sono state da allora disperse nelle misere tende e nelle bidonville a Gaza, in Giordania, in Siria ed in Libano.

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Soddisfazione agli «alti livelli» (J. Carter e M. Begin)
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Esilio forzato dei Palestinesi

SECONDO TEMPO: Dopo l’esilio

Dopo avere forzato circa 1.000.000 di Palestinesi a essere esiliati dalla loro patria, i sionisti disprezzarono le frontiere tracciate dall’O.N.U. e procedettero con il loro piano espansionista in Palestina, assillando i Palestinesi rimasti nel paese con atti terroristici. Così il calvario del popolo Palestinese si svolse su due livelli: all’interno, sotto l’occupazione sionista, e all’esterno, in esilio.

All’interno della Palestina

I Palestinesi resistettero quanto poterono al movimento di espatrio al quale furono sottomessi violentemente. Lo scrittore sionista Jon Kimhe descrisse nel Jewish Observer (03.03.1967) come il generale Moshé Dayan, nel luglio del 1948 «entrò a Lydda con tutta la forza, sparando e terrorizzando… La popolazione Palestinese di 30.000 persone fuggì o si assembrò sulla strada per Ramallah. L’indomani anche Ramleh si arrese e i suoi abitanti subirono lo stesso destino. Le due città furono saccheggiate dagli Israeliani».

A dispetto di ciò l’opinione internazionale continuò a essere totalmente favorevole agli Israeliani e ostile ai Palestinesi. L’influenza sionista in America -particolarmente avvantaggiata dall’avvicinarsi delle elezioni del novembre del 1948- rese la politica americana ancora più pro-sionista. Armi e aerei furono forniti agli Israeliani e personale militare americano fu autorizzato a combattere al fianco degli Israeliani: «Capitani e maggiori americani in pensione occuparono posizioni strategiche nell’esercito israeliano» (The Time 03.05.1967). Compilando la biografia di Ben Gurion, Michael Bar Zohar, scrisse che Ben Gurion parlando di questo personale militare disse: «Non so se avremmo potuto vincere la guerra senza il loro aiuto».

Dopo la guerra del 1967 Israele occupò completamente Gerusalemme, si impossessò del Golan, della Cisgiordania, di Gaza e del Sinai e in seguito diffuse il Giudaismo su tutta la distesa della Palestina.

La sorte dei patrioti Palestinesi fu la più penosa. Accusati di essere «terroristi», furono gettati in prigione e sottoposti ad atroci torture. Ai rappresentanti della Croce Rossa Internazionale fu impedito di verificare quale fosse lo stato dei prigionieri. Nel 1977 il «Sunday Time» pubblicò un rapporto opprimente sul trattamento disumano al quale i prigionieri palestinesi erano sottoposti.

L’articolo 3 della legge di emergenza attualmente in vigore stipula che il «governo israeliano ha il diritto di detenere amministrativamente, dovunque e ogni momento, non importa quale persona in zona occupata, senza dovere specificare le accuse a carico della persona così detenuta».

Alti dignitari furono catturati a motivo della loro testimonianza in favore dei Palestinesi. Tra i più conosciuti menzioniamo il Vescovo greco-cattolico di Gerusalemme, Hilarion Capucci, incarcerato nel 1974 e liberato nel 1977, dopo avere passato tre anni e mezzo nelle carceri israeliane.

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Il Vescovo Hilarion Capucci: Solidarietà pro-Palestinese

Circa 4000 palestinesi furono detenuti nelle trenta prigioni israeliane, che non erano altro che vecchi insani edifici, dove le celle erano oscure, umide, dove il sole difficilmente penetrava. A causa di cattive canalizzazioni prevaleva un forte fetore. Certe celle, concepite per quindici prigionieri, ne detenevano 45 che, per dormire, erano obbligati a alternarsi in tre turni successivi.

All’esterno della Palestina

L’inverno 1948-1949 fu particolarmente duro per i profughi Palestinesi. Erano senza bagagli e senza ripari. Parecchi morirono di freddo e di fame e testimoni dissero di avere visto dei bambini con le braccia «come dei fiammiferi e il ventre gonfio dalla continua carestia. Molti bambini morirono per mancanza di latte».

I dirigenti d’Israele insistettero tuttavia sul principio di un Stato sionista, puramente ebraico, e rifiutarono categoricamente di reintegrare i profughi Palestinesi perché erano sia Cristiani che Mussulmani.

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Un campo di profughi Palestinesi

Le proprietà Palestinesi furono confiscate dallo Stato ebraico: terre, residenze, negozi, depositi, laboratori, ecc… furono presi. Centinaia di migliaia di famiglie furono espulse dalla Palestina in una sera del 1948: senza denaro, senza passaporti, né documenti di identità, senza diplomi né possibilità di praticare una professione. Cacciati senza preavviso o preparazione, essi alloggiarono in tende, fuori dalla loro patria, alla mercé di una coscienza internazionale a loro riguardo spietata e completamente devota agli usurpatori israeliani. La coscienza occidentale, fortemente colpevolizzata per i crimini di Hitler, volle riscattarsi agli occhi dei sionisti permettendo loro di perpetrare un crimine ancora più odioso contro degli innocenti. Ciò perdura da più di trent’anni.

In esilio, i Palestinesi furono privati dei più elementari diritti civili. Dai loro ospitanti furono spesso più «tollerati» che accolti. Furono concentrati in campi profughi senza acqua potabile e senza sistemi fognari.
Demolito, il popolo Palestinese profugo vive nel disorientamento, nella paura.

L’O.L.P. (Organizzazione per la Liberazione della Palestina)

Il 28 maggio del 1964, il primo Consiglio Nazionale Palestinese si riunì a Gerusalemme. L’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (O.L.P.) fu proclamata e la Carta Nazionale fu redatta. L’entità Palestinese fu così rivendicata, mettendo fine a una situazione di smarrimento totale.

Lo stesso anno l’Esercito di Liberazione della Palestina fu costituito.

Nel 1965, la lotta per la liberazione della Palestina prende una nuova e decisiva piega con l’apparizione dei «FEDAYIN», i resistenti Palestinesi che operavano nei territori occupati, per la liberazione della loro patria.

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I «Fedayin»! Il diritto dei palestinesi a recuperare la loro terra!

L’aggressione sionista del 1967

Nel giugno del 1967, i sionisti si impossessarono interamente di Gerusalemme, del Golan (Siria), del Sinai (Egitto) e di tutta la Cisgiordania. Lo stato ebraico si sbarazzò di un nuovo flusso di decine di migliaia di Palestinesi che fuggirono in Giordania attraversando il ponte Allenby. Furono raggruppati nei campi profughi. Il calvario continuò: questi 410.000 nuovi profughi si aggiunsero a quelli già in esilio.

In una risoluzione del 22 novembre 1967, il Consiglio di Sicurezza chiese a «Israele» di ritirarsi dai territori occupati nel giugno del 1967. La risposta di Mr. Abba Eban, Ministro Israeliano degli Affari Esteri fu:

«Se l’Assemblea Generale votasse 121 voti contro 1, in favore del ritorno di Israele ai confini dell’armistizio (Frontiere prima del giugno 1967) Israele negherebbe di conformarsi a tale decisione.» (New York Times 19.06.1967)

Due tentativi di genocidio

In esilio, i profughi Palestinesi furono per due volte l’obiettivo di un genocidio da parte dei paesi che li accoglievano: in Giordania nel 1970 e in Libano nel 1975.

In Giordania

I Palestinesi esiliati si rifiutarono di essere assorbiti dal Regime giordano. Essi reclamarono il loro diritto di lottare per la liberazione della Palestina partendo dalla Giordania. Nel settembre del 1970, il Re Hussein reagì violentemente: il suo esercito attaccò i campi profughi e migliaia furono uccisi e feriti. È il famoso «settembre Nero».

Di nuovo nel luglio del 1971, il Re della Giordania imperversò. Il bilancio delle due carneficine fu di circa 25.000 morti e feriti. Più di 200.000 Palestinesi dovettero fuggire dalla Giordania verso la Siria e il Libano.

In Libano

Coscienti degli attentati che venivano tramati contro essi, i Palestinesi chiesero allo Stato Libanese di proteggere i loro campi dalle infiltrazioni esterne. Il Presidente della Repubblica, Mr. Sleiman Frangié, rispose che il governo non era in grado di assicurare loro la protezione e che avrebbero dovuto incaricarsene essi stessi.

Nella notte del 13 aprile 1973 commando israeliani sbarcarono a Beirut. Aiutati da collaboratori Libanesi, si diressero verso le abitazioni di 3 capi Palestinesi e li assassinarono nelle loro camere da letto.

In seguito a questo incidente, i Palestinesi decisero di erigere dei check-point intorno ai loro campi, per assicurare un minimo di protezione. A Beirut un massimo di quattro check-point furono eretti all’entrata dei campi principali, due dei quali erano occasionali.

Questo irritò l’ala di estrema destra Libanese guidata dai Falangisti Cristiani che consideravano questi check-point una sfida alla sovranità Libanese. D’altra parte la maggioranza dei Libanesi, Cristiani e Mussulmani giustificava i Palestinesi a causa del permesso preliminare che era stato dato loro di auto-difendersi e perché questi check-point, del resto poco numerosi, non si estesero mai oltre i limiti dei campi profughi.

La tensione contro i Palestinesi era fomentata da alcuni alti responsabili Cristiani pro-israeliani di estrema destra. Un potente sentimento anti-palestinese fu iniettato così nella destra Cristiana Libanese che reagì automaticamente verso i Palestinesi.

Il 13 aprile 1975, in occasione della commemorazione dei loro martiri, i profughi tennero una riunione in uno dei loro campi. Finita la riunione, un autobus che trasportava più di 25 Palestinesi, uomini, donne e bambini, che ritornavano al loro campo, nel passare da un quartiere maronita di estrema destra, senza alcuna provocazione da parte Palestinese, fu intercettato da una milizia Cristiana Falangista armata. Tutti gli occupanti furono ferocemente uccisi.

Fu la scintilla che provocò la guerra civile in Libano. I patrioti libanesi -Cristiani e Mussulmani- solidarizzarono con i Palestinesi contro un evidente piano di genocidio orchestrato nell’ombra dagli Israeliani con i loro agenti Libanesi e Arabi. Da allora Palestinesi e patrioti Libanesi fecero causa comune.

Quattro campi Palestinesi situati in settori Cristiani maroniti furono rasi letteralmente al suolo dalla milizia Cristiana. Due di questi campi -il «Quarantine» e il famoso «Tell-El-Zaatar»- davano riparo sia a Palestinesi che a Libanesi che erano fuggiti dal sud del Libano in seguito alla distruzione delle loro abitazioni da incursioni israeliane. Gli altri due campi -«Dbayé» e «Jisr-El-Bacha»- davano riparo a Palestinesi Cristiani, di rito greco-cattolico.

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Il campo di Tell El Zaatar dopo il genocidio

In seguito a questi avvenimenti una grande parte dei profughi Palestinesi fu ricacciata nel sud del Libano. Ancora una volta l’estrema destra Libanese ricominciò ad accusare i «profughi Palestinesi che risiedevano in Libano di tentare di prendere il Libano come patria al posto della Palestina» (Pierre Gemayel, capo dei milizia Cristiana Falangista, a «L’Orient-Le Jour» del 9 gennaio 1978). Peraltro, l’estrema destra libanese sparse voci attraverso i suoi mass media che i Palestinesi stavano acquistando terra Libanese nel sud per stabilirsi lì permanentemente.

Davanti al complotto che mirava a screditarla per distruggerla, la Rivoluzione Palestinese affermò a più riprese, ufficialmente e pubblicamente, che i Palestinesi non avrebbero mai accettato una patria di ricambio, fosse stato anche il Paradiso.

La lotta per la sopravvivenza e la liberazione della Palestina prosegue. Questa lotta è un simbolo: chi lavora per liberare la Palestina, lavora per liberare la propria Patria.

ALLEGATO BIBLICO

I sionisti gridano all’antisemitismo tutte le volte che qualcuno gli rimprovera i loro crimini. Dato che essi si basano sulla Bibbia per mascherare la loro usurpazione della Palestina, ci è sembrato utile dimostrare che la Bibbia è il più «antisemita» dei libri perché essa non ha smesso mai di denunciare lo spirito sionista che va contro la nozione spirituale della salvezza e della Terra Promessa così come l’universalità dell’elezione.

Il lettore cristiano riflessivo potrà notare facilmente che nessun legame reale esiste tra l’Israele artificiale del 1948, che è una fabbricazione umana, e l’Israele profetico e spirituale di cui parla la Bibbia.

Per una migliore comprensione del problema riferirsi al testo: «I Cristiani e Israele».

Pierre (1978)

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