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Sguardo di Fede sul Corano

Questo libro è stato tradotto dall’autore dall’originale arabo. È indirizzato a tutti coloro che vogliono liberarsi dal giogo del fanatismo imposto da tradizioni religiose scadute e da pregiudizi arbitrari. È dedicato a tutti gli uomini di buona fede, assetati di verità e di giustizia, alla ricerca della fraternità.

«Portate le vostre prove, se siete veritieri»
(Corano XXVII; La Formica,65)

DEDICATO

A MARIA,
NOSTRA MADRE LA VERGINE
MADRE DEL MESSIA,
A FATIMA,
LA MADRE DEI CREDENTI,

E

AI CREDENTI INDIPENDENTI
DI OGNI RITO, RELIGIONE E RAZZA.

colombes
Due uccelli della stessa specie rappresentano la Bibbia e il Corano

Introduzione

La maggior parte della gente crede che vi sia differenza fra il Corano e la Bibbia. Tuttavia l’Ispirazione divina è una nella Bibbia e nel Corano. Dio, che ha ispirato la Bibbia, Antico e Nuovo Testamento, ha ugualmente ispirato anche il Corano. Quest’ultimo attesta l’autenticità della Bibbia. La differenza non è dunque nell’Ispirazione, ma nell’interpretazione. Dio dice nel Corano:

«O Voi, ai quali è stato dato il Libro (la Bibbia), credete in ciò che abbiamo fatto scendere (il Corano) a conferma delle Scritture (la Bibbia) che sono presso di voi…» (Corano IV; Le Donne,50)

Questo libro è uno studio succinto del concetto autentico dell’Ispirazione divina. Invita ad aprirsi con fede all’Ispirazione coranica e, attraverso questa, al Vangelo e alla Torah, confermati dal Corano. (Il Corano impiega la parola «Torah» per l’insieme dei Libri dell’Antico Testamento)

È uno sguardo di fede sull’Ispirazione divina in generale per riunire i credenti tramite la scoperta dell’unità dell’Ispirazione biblico-coranica. In effetti, il Corano conferma i suoi due predecessori, la Torah e il Vangelo, e testimonia che Dio è il solo e unico ispiratore della Bibbia e del Corano:

«Il nostro Dio e il vostro Dio sono un Dio Unico, e noi a lui siamo sottomessi.» (Corano XXIX; Ragno,45)

[Il termine «sottomessi» è la traduzione della parola araba «mussulmano». Islam significa sottomissione (a Dio)].
Tuttavia, noi troviamo che le confessioni religiose hanno diviso Cristiani e Mussulmani a causa delle loro tradizioni ereditate di anno in anno. Questa divisione, dovuta a queste stesse tradizioni umane, non si è limitata alle comunità mussulmane e cristiane, ma ha conquistato l’interno di queste due comunità sorelle, separando Cristiani da Cristiani e Mussulmani da Mussulmani. È per questo che io prego il lettore di aprirsi con obiettività al contenuto di questo libro elevandosi al di sopra della mentalità del rito al quale egli appartiene, oltrepassando ogni mentalità confessionale ristretta, perché lo scopo di questo studio è liberarsi dallo spirito di congregazione confessionale e dal razzismo spirituale, inconsciamente infiltratisi in ognuno di noi. Possiamo liberarci da questo spirito malsano soltanto per mezzo della conoscenza di ciò che Dio ha veramente rivelato nei suoi Libri ispirati. Solo questa conoscenza è capace di liberarci dalle catene delle tradizioni e dei pregiudizi che ci deviano dagli insegnamenti della Bibbia e del Corano.

Queste tradizioni e questi pregiudizi sono passati, col tempo, nelle vene degli uomini e si sono tramandate di padre in figlio, accettate senza che la loro autenticità o la loro rettitudine fosse stata discussa. Certi «credenti» vi si sono aggrappati al punto da uccidere ogni oppositore, considerando queste vane tradizioni come assolutamente intoccabili, senza nemmeno assicurarsi della loro veridicità. Noi abbiamo tutti sofferto di questo stato di fatto, ignorando che queste tradizioni non avevano alcun fondamento divino.

È dunque importante convincersi della necessità di ritornare alla Bibbia e al Corano per rendersi conto della verità o della falsità di queste dicerie sparse da certuni per suscitare intrighi, come ha ben notato il Corano:

«Egli è quello che ha fatto scendere su di te il Libro (il Corano); in esso sono brani fermamente stabiliti che sono la base del Libro e altri allegorici; però coloro nel cui cuore è deviamento seguono quel che vi è di allegorico, per desiderio di scisma e per desiderio di falsa interpretazione, però nessuno conosce la vera interpretazione di essi, se non Dio; i saldi nella scienza diranno: noi crediamo in esso (al Corano), esso tutto viene da parte del nostro Signore; però non riflettono su di ciò se non i dotati di intelletto.» (Corano III; Famiglia d’Imran,5)

Certi capi religiosi si sono arrogati il diritto di monopolizzare l’interpretazione dell’Ispirazione divina. Ora, l’Ispirazione non é monopolio di nessun uomo. Secondo il versetto sopraccitato: «nessuno conosce la vera interpretazione di essi, se non Dio», ed è «Dio che guida» i suoi eletti, come dice ancora il Corano nel capitolo XLII; Il Consiglio,52.

In effetti, i sapienti religiosi ebrei si sono arrogati il diritto d’interpretare, essi soli, la Bibbia, impedendo ai credenti di applicare a Gesù le profezie messianiche, tuttavia chiare, che vi si trovano.

Alcuni capi religiosi e teologi cristiani monopolizzano ugualmente il diritto d’interpretare il Vangelo, rifiutando di applicare le profezie esplicite che vi si trovano per denunciare l’ingiusta entità israeliana, manifestamente presa di mira da quei profeti. Questo atteggiamento colpevole, che è una contro-testimonianza verso Gesù, è dovuto alla solidarietà dei Cristiani con Israele e con il sionismo internazionale, denunciato tuttavia da San Giovanni, essendo lo Stato di Israele l’Anticristo che deve apparire (1 Giovanni 2,22).

Nello stesso modo, molti capi e sapienti mussulmani monopolizzano il diritto d’interpretare il Corano in favore di una tradizione fossilizzata che fa comodo a loro. Essi espongono interpretazioni personali, non divine, che lasciano trasparire uno spirito fanatico e separatista. Ciò facendo, impediscono agli uomini di comprendere i versetti coranici indipendentemente dalle loro ristrette concezioni, tanto lontane dall’intenzione divina. Si fermano ai versetti «allegorici» e li interpretano a loro favore «per desiderio di scisma».

Il Corano impone ai credenti di avvicinarsi ai soggetti sacri partendo dalla conoscenza dei «Libri luminosi», poiché Dio ha ispirato questi libri come guida. L’uomo non deve dunque seguire, in maniera irrazionale, ogni suggestione fatta per suscitare dissensi, senza ricorrere a un «Libro luminoso», come raccomanda il Corano:

«Fra gli uomini vi è chi disputa di Dio senza conoscenza alcuna e segue qualsiasi demone ribelle… Vi sono degli uomini che discutono di Dio senza conoscenza, senza essere guidati da un Libro luminoso.» (Corano XXII; Il Pellegrinaggio,3 e 8)

Per questo, nella nostra discussione, noi abbiamo fatto ricorso a due «Libri luminosi», la Bibbia e il Corano, affinché la nostra fede non sia costruita sulle sabbie mobili delle dicerie che ci rendono preda di «qualsiasi demone ribelle» e fanatico. Noi vogliamo costruire la nostra fede sulla roccia della conoscenza e della certezza. Allora noi fioriremo, perché saremo esposti ai raggi emanati dalla sorgente divina, e non sottomessi a favole e a tradizioni puramente umane. Queste sono fatte per condannarci, dato che non hanno alcuna base nei «Libri luminosi». È la ragione per la quale esse sono state un fallimento, producendo gli amari frutti della divisione tra fratelli. L’Intenzione divina, al contrario, è di riunire i credenti per mezzo dell’Ispirazione unica, non di dividerli a causa di tradizioni che Dio disapprova.

«Signore fa fiorire il mio cuore…» (Corano XX; Lettere T.H.,26)

Ora, il cuore fiorisce soltanto se si libera dal giogo di una fede ignorante, frutto di tradizioni fossilizzate. Se aspiriamo alla salvezza, dobbiamo spogliarci di questa fede malsana, per abbracciare la fede reale, quella costruita sulla conoscenza dei «Libri luminosi». Questa conoscenza sarà la nostra guida nelle nostre discussioni sugli argomenti divini.

Per comprendere la vera spiritualità dell’Islam, dobbiamo prendere coscienza dell’abisso immenso che separa il Corano dalla maggior parte dei Mussulmani. Questo abisso è uguagliato soltanto da quello che separa la Bibbia dalla grande maggioranza degli Ebrei e dei Cristiani. I responsabili di questo fossato sono i seguaci delle tradizioni rituali e del culto, preoccupati di salvaguardare un’eredità religiosa umana, un culto materiale a detrimento del culto «in spirito e verità» prescritto da Gesù (Giovanni 4,24).

Il profeta Maometto ha detto nelle sue «Nobili Discussioni»:

«Verrà un tempo per gli uomini in cui non resterà del Corano che il suo disegno e dell’Islam il suo nome. Questi si proclamano seguaci dell’Islam mentre sono i più lontani da esso.»

Lo Sceicco Muhammad Abdo disse anche a questo proposito:

«Ciò che noi vediamo ora dell’Islam, non è l’Islam. Hanno mantenuto delle opere dell’Islam solo un’apparenza di preghiere, di digiuno, di pellegrinaggio e poche parole deviate in parte dal loro senso. La gente è arrivata al ristagno che ho menzionato a causa delle eresie e delle leggende che hanno intaccato la loro religione e che essi considerano come religione. Che Dio ci preservi da quella gente e dalle loro calunnie su Dio e sulla Sua religione perché tutto ciò che si rimprovera oggi ai Mussulmani non appartiene affatto all’Islam. È qualcos’altro che viene chiamato Islam.» (Tratto dal suo libro: «L’Islam e il Cristianesimo»)

Il Messia, parimenti, ha posto la domanda ai suoi Apostoli parlando della fede alla fine dei tempi:

«Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?» (Luca 18,8)

Egli ci avverte che l’amore per Dio scomparirà dal cuore di molti uomini a causa dell’ingiustizia e dell’empietà che prevarranno alla fine dei tempi (Matteo 24,12). Per questo, Egli mise in guardia i credenti dicendo:

«Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre Mio che è nei Cieli. Molti (falsi credenti) mi diranno in quel giorno (vedendomi in collera contro di loro): Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demoni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome? Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità.» (Matteo 7,21-22)

L’apostolo Paolo certifica anch’egli, nelle sue lettere:

«…che negli ultimi tempi verranno momenti difficili. Gli uomini saranno egoisti, amanti del denaro, vanitosi, orgogliosi, senza amore… con la parvenza della pietà, mentre ne hanno rinnegata la forza interiore…» (2 Timoteo 3,1-5)

Così, l’Ispirazione divina ci mette dappertutto in guardia contro le pratiche vane e superficiali alle quali sono attaccati molti credenti. Questi culti illusori sono sterili agli occhi del Giudice divino che non accorda la sua misericordia a causa di tali atti d’ispirazione pagana, ma si lascia toccare dalla bontà, dall’amore e dallo sforzo che Egli ci vede compiere per arrivare a conoscere la verità e a praticare la giustizia.

Nell’Ispirazione evangelica, il criterio della fede alla fine dei tempi è l’apparizione di una «Bestia» annunciata dall’apostolo Giovanni nel libro dell’Apocalisse. Questa «Bestia», «l’Anticristo», è l’incarnazione delle forze del male e dell’ingiustizia nel mondo. Essa appare in Palestina, fino al cuore di Gerusalemme (Apocalisse 11,2 e 20,7-9), dove essa raduna il suo esercito e i suoi sudditi «per la guerra», non per la pace. Il criterio della fede risiede nel grado di entusiasmo usato per combattere questa Bestia. Più la fede è grande, più si accresce il discernimento spirituale per riconoscere l’identità di questo mostro e s’intensifica l’impegno a combatterlo a morte. Per contro, una fede vacillante o assente, conduce l’uomo a sottomettersi alla Bestia, dicendo, davanti alla sua apparente potenza: «Chi è simile alla Bestia e chi può combattere contro essa?» (Apocalisse 13,4). L’Ispirazione evangelica annuncia ai credenti la buona novella della loro vittoria sulla Bestia, l’Anticristo.

Io ho rivelato e dimostrato nel mio libro «L’Apocalisse smaschera l’Anticristo», che l’entità israeliana è questa «Bestia» che ha riunito le sue truppe sioniste dai quattro angoli della terra… per la guerra… in Palestina. Lo Stato d’Israele, questo «ersatz» formato da tanti pezzi, costruito sul delitto e sul sangue, simbolizza l’ingiustizia e il male. Esso se ne va alla sua rovina.

I veri credenti, oggi, sono quelli che discernono l’identità della «Bestia» dell’Apocalisse e comprendono che in essa s’incarna «il male assoluto», secondo l’espressione dell’Imam Moussa Sadr, che aggiunge: «Collaborare con Israele è un peccato». Ai giorni nostri, i credenti sono quelli che si sollevano contro il nemico di Dio, il sionista insediato in Palestina occupandone tutto il territorio e facendo traboccare la sua ingiustizia fino al Libano del Sud.

La «Bestia» apocalittica è la misura temibile per mezzo della quale Dio sonda il cuore dei credenti per condannare coloro che collaborano con essa e benedire eternamente i cuori nobili e coraggiosi che la combattono con fede. Così, l’unità fra tutti i credenti si opera oggi per mezzo della loro unione contro Israele, il nemico di Dio e di Gesù, suo Messia. Il combattimento contro lo Stato di Israele equivale a un nuovo battesimo.

L’Ispirazione coranica ha parimenti annunciato l’apparizione di una Bestia alla fine dei tempi:

«E quando starà per cadere su di loro (i non credenti) la mia sentenza, faremo uscire, ad essi, una Bestia dalla terra, la quale parlerà ad essi: In verità! Gli uomini non hanno creduto fermamente ai nostri segni.» (Corano XXVII; La Formica,84)

Questa è la «Bestia» dell’Apocalisse (capitoli 13 e 17). Maometto ha annunciato nelle sue «Nobili Discussioni» l’apparizione dell’Anticristo e dei suoi in Palestina, «riversandovisi da ogni luogo», come fu per gli Ebrei. Il Profeta ha proseguito dicendo che essi attraverseranno il lago di Tiberiade e che questi «ciarlatani» inganneranno molti credenti. I veri credenti li combatteranno e trionferanno su di loro. Io ho dimostrato nel mio libro «L’Anticristo nell’Islam», la relazione tra questo «Messia» ciarlatano e l’entità israeliana, sostenendo i miei argomenti per mezzo delle «Nobili Discussioni» raccolte nell’opera dello Sceicco Sobhi Saleh «Mahnal el Waridin».

Molte false dottrine si sono infiltrate fra le fila dei credenti, radicandosi come tradizioni ferme e indiscutibili. Fra queste figurano:

  1. la pretesa, alla quale credono numerosi Cristiani, che il Corano contraddica il Vangelo
  2. la pretesa, alla quale credono molti Mussulmani, che il Vangelo sia falsificato e che ci sia una contraddizione fra i 4 Vangeli.

Certi Mussulmani non prestano fede al Vangelo con il pretesto che sia stato scritto dopo l’Ascensione del Messia. Essi ignorano che la Potenza dell’ispirazione di Dio non si limiti né alla presenza fisica del Messia nel mondo, né a un tempo o a un luogo preciso. Tutte queste idee dimostrano l’ignoranza e l’infantilismo della gente capace di credere a tali sciocchezze.

Noi abbiamo voluto, in questo studio, penetrare nel mondo dell’Ispirazione per la porta del Corano. Attraverso di esso, siamo arrivati alla Bibbia. In tal modo abbiamo scoperto l’unità dell’Ispirazione biblico-coranica. È la ragione per la quale non comprendiamo perché coloro che credono in uno di questi due Libri combattano quelli che credono nell’altro. È illogico accettare l’uno senza l’altro.

Il Corano è il testo arabo della Bibbia

La trappola nella quale sono caduti Cristiani e Mussulmani è considerare che la religione del Corano si opponga a quella della Bibbia. Il Corano non è responsabile di questo equivoco. Al contrario, si presenta come un riassunto del messaggio biblico, ispirato a Maometto in «lingua araba chiara», indirizzato agli abitanti dell’Arabia, perché essi non avevano avuto, come i popoli della Bibbia, dei messaggeri divini per istruirli. Il Corano dice:

«In verità, il Corano è una rivelazione del Signore delle creature; scese (dal Cielo) con esso lo Spirito fedele, sopra il tuo cuore (Maometto), affinché fossi un ammonitore, in lingua araba chiara. Certo esso (il Corano) si trova nei Libri (la Bibbia) sacri degli antichi (Ebrei e Cristiani).» (Corano XXVI; I Poeti,192-196)

Si deve notare che l’Ispirazione coranica si trova già nella Bibbia che precede il Corano. Il Corano dunque non differisce dalla Bibbia, poiché ne è un’emanazione. Esso differisce dalla Bibbia solo per il fatto che é stato rivelato «in lingua araba chiara»:

«Così, abbiamo rivelato in arabo una Saggezza…» (Corano XIII; Il Tuono,37)

«Così rivelammo a te un Corano in lingua araba, perchè tu avverta la madre delle città (la Mecca) e chi è attorno ad essa.» (Corano XLII; Il Consiglio,5)

«Esso (il Corano) è la verità che promana dal tuo Signore, affinché tu ammonisca un popolo, al quale non giunse mai alcun ammonitore, prima di te; forse essi si lasceranno dirigere.» (Corano XXXII; L’Adorazione,2)

A dispetto di questi versetti chiari, certi fanatici, desiderosi di convertire l’umanità a un Islam integralista, si alzano per «difendere» il Corano, proclamando che non è solo per gli Arabi, ma per il mondo intero. Costoro dovrebbero piuttosto riferirsi ai testi coranici la cui Ispirazione è indirizzata agli Arabi della «Madre delle città». Tuttavia, ma con uno spirito ben differente, noi sosteniamo che il Corano sia effettivamente una luce per il mondo intero, poiché il suo messaggio non è altro che il messaggio biblico. Ciò risulta dal versetto citato prima:

«Esso (Il Corano) si trova nei Libri sacri degli antichi.» (Corano XXVI; I Poeti,196)

Maometto, come ogni profeta, fu inviato come guida universale, al di là di ogni confessione religiosa odierna.

La parola «Corano», in arabo, significa lettura, essendo questo Libro santo una «lettura» araba della Bibbia di cui l’originale è in ebraico (per l’Antico Testamento) e in greco (per il Nuovo Testamento). Gli Arabi dell’epoca di Maometto ignoravano queste due lingue. Giustificavano la loro ignoranza della Bibbia con il pretesto dell’incapacità di leggerla. Sostenevano anche, orgogliosamente, che se avessero potuto prendere conoscenza del messaggio biblico, sarebbero stati, a motivo della loro intelligenza superiore, più eruditi degli Ebrei e dei Cristiani. Per tagliare corto con questi argomenti, Dio, dunque ispirò il Corano «in lingua araba chiara», informandoli del contenuto dei «Libri degli antichi». Infatti Dio dice:

«…Ciò, perché non abbiate a dire: ‘Il Libro fu fatto scendere a due sole nazioni (gli Ebrei e i Cristiani) prima di noi, e noi, invero, fummo estranei ai loro studi’, oppure non abbiate a dire: ‘Se il Libro fosse stato fatto scendere a noi, ci saremmo lasciati guidare meglio di loro’; però ora è venuta a voi, da parte del vostro Signore, una prova evidente (il Corano), una guida e un segno di misericordia, e chi è più iniquo di chi tratta di menzogna i Segni di Dio e se ne ritrae? Noi puniremmo quelli che si ritraggono dai nostri Segni, con grave castigo perciò che se ne sono ritratti.» (Corano VI; Il Gregge,157-158)

I versetti del Corano, che è una versione araba della Bibbia, sono stati «modellati» con precisione, in uno stile e una mentalità araba, per adattarsi agli Arabi:

«Un Libro (il Corano), i cui brani furono esposti chiaramente costituendo essi una recitazione (lettura) araba, destinata a gente che sa. Non viene detto a te (Maometto) se non ciò che è stato detto agli apostoli (biblici), prima di te… Che se noi avessimo fatto di esso (il Corano) una recitazione in lingua straniera, quelli (gli Arabi) avrebbero detto: Perché non sono stati dichiarati per bene i suoi brani (al fine di comprenderli)? Esso è in lingua straniera, mentre egli (Maometto) è un arabo. Dì (agli Arabi dunque): Esso (il Corano in arabo) è, per quelli che credono, direzione e farmaco…» (Corano XLI; Versetti Esposti Chiaramente,2 e 43-44)

Nello stesso modo in cui il Corano è una lettura biblica modellata per gli Arabi, quest’opera che ho tradotto dall’arabo mira a presentare all’Occidente il messaggio coranico modellato secondo la mentalità occidentale.

Il Corano, essendo una lettura araba della Bibbia, non aggiunge niente di nuovo o di contrario a questa, poiché Dio rivela a Maometto «ciò che è stato detto agli apostoli, prima di te», come si vede nei versetti citati sopra.

Il Corano, tuttavia, non contiene tutto il messaggio biblico, perché Dio dice a Maometto:

«Ben già mandammo Apostoli, prima di te; di alcuni di essi, narrammo a te la storia, e di altri di essi, non narrammo a te alcuna cosa…» (Corano XL; Il Credente,78)

I profeti e gli Apostoli, che non sono menzionati nel Corano, lo sono nella Bibbia. È la ragione per cui ho detto che il Corano stesso si presenta come un’Ispirazione riassuntiva della Bibbia e dunque non ne differisce nella sua essenza.

Per questo, quando ai tempi di Maometto, certi Mussulmani domandarono a dei Cristiani di diventare mussulmani, costoro risposero che erano già mussulmani prima del Corano; la parola mussulmano significa, in arabo, sottomesso a Dio:

«Quelli ai quali demmo il Libro (la Bibbia), prima di esso (prima del Corano) credono in quello, e quando viene loro recitato, dicono: ‘Noi crediamo in esso; certamente, è la verità (che viene) da parte del nostro Signore, e noi, invero, eravamo mussulmani già prima che esso ci giungesse’… Costoro riceveranno una doppia ricompensa…» (Corano XXVIII; La Storia,52 e 54)

Notare l’espressione «eravamo mussulmani già prima che esso ci giungesse». Questo significa che quei Cristiani non esitarono a dichiararsi mussulmani, sottomessi a Dio, prima della rivelazione del Corano. L’atteggiamento del Corano e di Maometto è di concedere una «doppia ricompensa» a quei credenti che, senza rinunciare al cristianesimo, si riconoscevano senza riserva tanto Mussulmani quanto Cristiani. La conclusione logica che deriva da questi versetti, è che l’Islam, nell’ottica del Corano, è solo un altro nome del cristianesimo. Questo è confermato dal Corano stesso:

«…Egli (Dio) vi ha prescelti e non vi ha imposto, nella Religione che vi ha dato, nulla di gravoso; essa è la Religione del padre vostro Abramo; Egli vi ha chiamati »Muslim«, per il passato e in questo (nel Corano), affinché l’Apostolo (Maometto) sia testimone contro di voi…» (Corano XXII; Il Pellegrinaggio,77-78)

Facendo visita a una sedicente società musulmana, fui coinvolto in una discussione nel corso della quale dissi: «Io sono mussulmano da prima del Corano». Uno degli religiosi integralisti presenti si adirò e disse: «Queste parole sono bestemmie!» Io risposi: «La differenza fra il Corano e voi è che voi giudicate le mie parole bestemmie mentre il Corano, al contrario, mi benedice perché le ho dette e mi dà una doppia ricompensa». Questo non è che uno dei molteplici esempi vissuti nei diversi ambienti detti cristiani e mussulmani. Queste esperienze mi hanno insegnato a discernere fra la vera fede e lo sciovinismo religioso.

In testimonianza dell’unità dell’Islam e del Cristianesimo, citiamo questi esempi:

  • Il Corano considera mussulmani gli Apostoli di Gesù venuti al mondo sette secoli prima di esso:

    «E quando dissi, per rivelazione, agli Apostoli: ‘Credete in Me e nel mio Messaggero’, risposero: ‘Noi crediamo e tu testifica che noi siamo mussulmani (sottomessi)’.» (Corano V; La Tavola,111)

    (Le traduzioni del Corano menzionano la parola araba «muslim» ora come «sottomesso» ora come «rassegnato»).

  • Abramo, venuto ventisette secoli prima del Corano, viene da esso considerato come Mussulmano:

    «Abramo non era Giudeo, né Cristiano, era bensì mussulmano (sottomesso)…» (Corano III; La famiglia d’Imran,60)

  • Il profeta Maometto dice nel Corano:

    «Io sono il primo dei Mussulmani.» (Corano VI; Il Gregge,163)

L’interpretazione ufficiale riportata dai «Jalalein» spiega che Maometto è il primo Mussulmano fra gli Arabi.
(L’interpretazione del Corano «Al Jalalein» è ufficialmente ammessa dal mondo mussulmano e arabo come facente testo.)

Il Corano consola il cuore di ogni vero credente con i versetti sopracitati della sura XXVIII; La Storia, rivelando l’apertura dei Cristiani dell’epoca al Corano e la doppia benedizione elargita ad essi. Dove trovare, oggi, in un mondo reso fanatico dai diversi culti e riti, una pari grandezza d’animo, dall’una e dall’altra parte? Se un Cristiano osasse affermare ai nostri giorni di essere un Mussulmano prima del Corano, susciterebbe contro di sé la collera di numerosi Cristiani e Mussulmani tradizionalisti. Qui appare l’abisso fra il disegno originale di Dio e le tradizioni umane deviate.

Il Corano comanda ai Mussulmani:

«Né disputate con la gente del Libro (La Bibbia), se non con il migliore (degli argomenti), eccettuati quelli di essi che agiscono ingiustamente con voi, e dite: ‘Noi crediamo in ciò che è stato fatto scendere a noi (il Corano) e che è stato fatto scendere a voi (la Bibbia), il nostro Dio e il Vostro Dio sono un Dio Unico e noi a Lui siamo rassegnati (sottomessi)’.» (Corano XXIX; Il Ragno,45).

Il Mussulmano deve dunque credere nella Bibbia. Si deve sforzare, senza tregua, e con cuore puro di scoprire «il migliore degli argomenti» per sostenere questa fede. È questo «il Retto Sentiero» (Corano I; La Aprente il Libro,5).

Essere cristiano o essere mussulmano sono dunque due appellativi di una stessa verità. Perché, essere cristiano significa testimoniare che Gesù sia veramente il Messia. È ciò che attesta il Corano. Essere mussulmano significa abbandonarsi a Dio, essere a Lui sottomesso: questo è l’atteggiamento che deve avere ogni Cristiano.

Noi ci dispiacciamo e ci meravigliamo del comportamento di alcuni paesi mussulmani che bandiscono la Bibbia fuori dalle loro frontiere. Ignorano essi che il Corano li condanni? Il Corano non predica un’altra religione e non rivela un altro Dio diverso da Colui la cui Ispirazione si trova nella Bibbia. Chi è capace di comprendere questa semplice verità compie un passo da gigante nella Via di Dio.

Alcuni pensano che il Corano dispensi dalla Bibbia e arrivano fino a disprezzarla. Altri dicono che è sufficiente la Bibbia e disdegnano il Corano. Gli uni e gli altri hanno i loro argomenti e i loro pretesti. Tutti cadono così nella trappola del razzismo religioso, contravvenendo ai comandamenti di Dio in tutti i libri ispirati.

Il Corano non ha mai preteso di essere un sostituto alle Scritture bibliche e anzi avvicina a esse il lettore ebreo o cristiano:

«Dì: o gente del Libro (la Bibbia), Voi non vi appoggiate su nulla di solido, finché non vi atterrete al Pentateuco (Torah) e al Vangelo.» (Corano V; La Tavola,72)

Il Corano spinge gli stessi Arabi a conoscere la Bibbia; Dio dice a Maometto:

«Tu non sapevi, prima, quel che fosse il Libro (la Bibbia), né che fosse la fede. Però noi ponemmo esso a luce, con cui guidiamo chi vogliamo, fra i nostri servi.» (Corano XLII; Il Consiglio,52)

Nonostante la testimonianza, più volte ripetuta, del Corano in favore della Bibbia, molti dotti mussulmani hanno interpretato i versetti del Corano senza ricorrere alla Bibbia. Per questo motivo, le loro interpretazioni sono estranee allo spirito e alla logica dell’Ispirazione, contenendo i germi della discordia e della separazione fra i credenti. L’Ispirazione coranica si trova nei «Libri sacri degli antichi» e dunque non è isolata dall’Ispirazione biblica. Il profeta Maometto ignorava «la Bibbia e la fede», Dio perciò gli rivelò il Corano, per istruirlo nel messaggio biblico in lingua araba.

Ogni persona che legge la Bibbia e il Corano con obiettività, senza pregiudizi, si renderà conto della parità dei due messaggi e delle due Ispirazioni e crescerà in saggezza e perspicacia.

Certe storie raccontate nella Bibbia si ritrovano nel Corano. E il Corano riporta unicamente storie bibliche dalla creazione fino alla fine dei tempi passando da Noè, da Abramo, dalle dodici tribù, dalla rottura dell’Alleanza da parte degli Ebrei, al Messia Gesù, figlio di Maria. Perché dunque allontanarsi da uno dei due Libri dato che la Bibbia dona un accrescimento di Luce che spiega l’Ispirazione coranica?

Un gran numero di persone discutono di religione e vi si dedicano con entusiasmo, ma questo entusiasmo ignorante non è rischiarato dal contenuto dei Libri ispirati, essi si smarriscono nelle reti del fanatismo. Un simile atteggiamento è un abominio agli occhi di Dio e dei suoi profeti.

Chi vuole discutere di religione deve saper prendere distanza e consultare la Bibbia e il Corano da vicino prima di lanciarsi in un dialogo che il fanatico trasforma in sfida e battaglia. L’Ispirazione divina, al contrario, comanda di discutere «con il migliore» degli argomenti e dei comportamenti. Quanti responsabili religiosi calpestano questo comandamento coranico, ignorando i Libri e scostandosi dall’Ispirazione in nome della stessa? In tal modo essi seminano la discordia tra le fila dei fratelli credenti.

A seguito di questa riflessione, comprendiamo l’essenza dell’Islam partendo dalla definizione che ne dà il Corano. La spogliamo così delle idee tradizionaliste, aggiunte come parassiti lungo il corso dei secoli e degli eventi, che hanno sfigurato la purezza dei suoi tratti.

Noi abbiamo perfettamente capito che agli occhi del Corano il Mussulmano:

«È colui che si sottomette intieramente a Dio e fa del bene ad altri, quegli afferra l’Ansa saldissima.» (Corano XXXI; Luqman,21)

Tale è l’essenza dell’Islam coranico. Ora, questo è il bene che si fa volgendosi alla Bibbia, perché Dio vi si trova come nel Corano. Beati gli uomini, chiunque essi siano, che si sottomettono a Dio leggendo i suoi Libri e credendoci. «Essi hanno afferrato un’Ansa saldissima».

Bisogna dar rilievo al seguente fatto: gli Arabi, prima di Maometto, erano nell’impossibilità di studiare la Bibbia perché era scritta in ebraico e in greco. Oggi, la Bibbia è tradotta in arabo e in molte altre lingue comprese dagli Arabi (come la lingua inglese), non hanno più pretesti per ignorarla.

Nello spirito di ciò che fu detto alle genti della Bibbia, noi diciamo oggi alle genti del Corano: «Voi non vi appoggiate su nulla di solido, finché non vi atterrete alla Torah e al Vangelo» perché senza di essi non afferrerete lo Spirito divino nel Corano. (vedere Corano V; La Tavola,72).

In effetti, la pienezza dello Spirito coranico non può essere compresa senza ricorrere alla Bibbia che è la sua sorgente.

Noi crediamo che il Giudaismo della Torah, il Cristianesimo del Vangelo e l’Islam del Corano abbiano una sola e unica essenza. Non esitiamo a proclamare la nostra fede nell’Islam e nel suo nobile profeta, Maometto. Gli riconosciamo di avere consolidato la nostra testimonianza a Dio, al Messia e al Vangelo.

Con questo studio, vogliamo inculcare senza compromessi, lo spirito di mutua comprensione e di armonia fra i veri credenti di tutte le confessioni, esponendo l’accordo totale tra la Bibbia e il Corano.

I miei compagni e io stesso, ben coscienti delle difficoltà e delle persecuzioni alle quali andremo incontro da parte dei fanatici delle diverse confessioni, abbiamo nondimeno giurato di andare avanti con pazienza e determinazione. Nel nome di Dio, proseguiamo, trascurando tutte le interpretazioni striminzite e stiracchiate dei fabbricanti di scompiglio. Ci siamo sforzati instancabilmente di ricercare «il migliore degli argomenti», e non lo perderemo di vista, al fine di non soddisfare che Dio e la nostra coscienza, camminando così in questo «Retto Sentiero» della salvezza spirituale.

I credenti di tutte le correnti spirituali e di tutte le religioni che giungeranno a liberarsi di tutti i pregiudizi verso i Libri santi, scopriranno con gioia che sono figli di uno stesso Dio, che sono fratelli e amici, dopo aver a lungo creduto di essere nemici mortali.

I principi dello studio

Il nostro studio dell’Ispirazione divina è fondato sui seguenti principi immutabili:

  1. Il ritorno al testo coranico stesso.
  2. La ricerca del senso spirituale del testo.
  3. La pedagogia divina dell’Ispirazione.
  4. L’unità dell’Ispirazione.

Rispettando questi principi nello studio dell’Ispirazione biblico-coranica, giungeremo a penetrare l’Intenzione divina per finalmente scoprire l’unità delle due ispirazioni.

Il ritorno al testo coranico

Dio esige dai credenti la prudenza nella ricerca delle verità spirituali. Egli domanda loro di appoggiarsi sempre sui Libri ispirati e di ignorare le dicerie propagate dai creatori di disordini. Dio mette in guardia dicendo:

«Vi sono degli uomini che discutono di Dio senza averne conoscenza, senza aver ricevuto nessuna direttiva, senza essere guidati da un Libro luminoso.» (Corano XXII; Il Pellegrinaggio,8)

Il Libro luminoso al quale noi siamo ricorsi per comprendere lo spirito del Corano è il Corano stesso, sostenendo i nostri argomenti per mezzo di questo Libro ispirato e per mezzo della Bibbia, allo scopo di manifestare l’unità che esiste fra i Libri ispirati. È intenzionalmente che noi non prestiamo nessuna attenzione alla vane proteste di coloro che si compiacciono di controversie superficiali, risparmiando così il loro tempo e il nostro.

Questa necessità di ricorrere a un Libro luminoso fu sentita dagli stessi Apostoli del Messia, per convincere gli Ebrei che Gesù era veramente il Messia annunciato dai profeti dell’Antico Testamento. Infatti, l’Ispirazione evangelica dice che gli Ebrei che hanno creduto al Messia hanno:

«…accolto la Parola (annunciata dagli Apostoli) con grande entusiasmo, esaminando ogni giorno le Scritture per vedere se le cose stavano davvero così.» (Atti 17,11)

Il Messia aveva agito nello stesso modo con i suoi Apostoli dopo la sua resurrezione:

«Cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a Lui.» (Luca 24,27)

Il credente avveduto deve dunque costantemente riferirsi ai Libri luminosi se cerca una direzione sicura per fondare la sua fede sulla conoscenza, secondo l’esempio degli Apostoli, suoi predecessori.

La ricerca del senso spirituale del testo

Dio ci ha comandato di cercare sempre il senso spirituale dei testi ispirati, mettendoci in guardia contro la trappola dell’interpretazione letterale e ristretta che devia dall’Intenzione divina. L’Ispirazione divina ha lo scopo di infiammare i nostri cuori e stimolare il nostro interesse per la vita spirituale eterna che supera senza paragoni la vita corporale. Per questo il Corano, dopo il Vangelo e la Torah, ci incita e ci sensibilizza ad attaccarci allo spirito attraverso la lettera. Il Corano dice infatti:

«Vi sono alcuni che servono Dio, ma alla lettera. Se tocca loro un bene, prendono coraggio, ma se tocca un male, cadono faccia a terra, perdendo questo mondo e l’altro. Ecco manifestamente i perdenti.» (Corano XXII; Il Pellegrinaggio,11)

Ritroviamo il medesimo avvertimento nel Vangelo in uno stile differente:

«…Dio ci ha resi ministri adatti di una Nuova Alleanza, non della lettera ma dello Spirito; perché la lettera uccide, lo Spirito dà vita.» (2 Corinzi 3,6)

Il Messia ci raccomanda di non comprendere l’Ispirazione alla lettera, di non attardarci sul senso letterale, ma di elevarci verso l’intenzione divina che si manifesta nelle parole profetiche:

«È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e vita.» (Giovanni 6,63)

Anche l’Antico Testamento ci invita a superare la lettera per raggiungere lo Spirito. Citiamo come esempio la circoncisione e il digiuno. Il profeta Geremia (VI secolo a.C.) disse a proposito della circoncisione:

«Circoncidetevi per Yahvè, circoncidete il vostro cuore.» (Geremia 4,4)

Questo grande profeta aveva, dunque, capito che l’intenzione divina a proposito della circoncisione mirava alla purificazione del cuore, non all’asportazione del prepuzio: un atto spirituale, non fisico, che lava l’anima dai pensieri e dalle tendenze impure. È perciò che San Paolo ha detto a questo proposito:

«La circoncisione non conta nulla, e la non circoncisione non conta nulla; conta invece l’osservanza dei comandamenti di Dio.» (1 Corinzi 7,19)

In effetti, coloro che osservano i comandamenti di Dio sono stati

«circoncisi, di una circoncisione però non fatta da mano di uomo, mediante la spogliazione del nostro corpo di carne.» (Colossesi 2,11)

Tale è la circoncisione spirituale operata per mano di Dio per purificare l’anima con il pentimento e la grazia. Questa non può essere paragonata alla circoncisione fisica fatta da mano d’uomo, incapace di lavare l’anima dalle sozzure.

La circoncisione, il digiuno, i sacrifici, il pellegrinaggio… ecc… sono tutti dei simboli «allegorici» che evocano realtà spirituali; fanno parte delle «allegorie» che bisogna interpretare spiritualmente, non letteralmente, come continuano a fare «coloro nel cui cuore è deviamento, seguono quel che vi è di ambiguo (allegorico), per desiderio di scisma e anche per desiderio di falsa interpretazione, però nessuno conosce la vera interpretazione di essi, se non Dio; i saldi nella scienza diranno: ‘crediamo in esso; esso tutto viene da parte del nostro Signore’; però non riflettono su di ciò se non i dotati di intelletto» (Corano III; Famiglia d’Imran,5).

L’interpretazione delle «allegorie» è conosciuta solo da Dio come rivela il Corano. Come dunque certuni osano interpretarle in una maniera e in uno stile che suscitano la zizzania e la divisione tra fratelli? Quanto a noi però, non presentiamo un’interpretazione personale, ma abbiamo fatto ricorso alla Parola di Dio nella Bibbia, e particolarmente nei libri del Vangelo. Lì abbiamo trovato l’interpretazione di Dio stesso concernente le «allegorie» e ciò dal suo stesso «Verbo, che Egli gettò in Maria» (Corano IV; Le Donne,169). Il Verbo di Dio s’incarnò in Lei per illuminare il mondo riguardo le intenzioni di Dio nella sua Ispirazione. Questo Verbo benedetto non sbaglia mai, supera e confonde ogni interpretazione umana. Però, «non riflettono su di ciò se non i dotati di intelletto», questi che sono aperti liberamente e senza contenzione all’insieme dell’Ispirazione biblico-coranica, riusciranno a istruirsi di questa Parola Divina. Tutti coloro che si sono lasciati prendere nelle reti del fanatismo possono liberarsi da questa schiavitù infernale se si lasciano guidare dalla Parola totale di Dio. Eviteranno così il giudizio severo di Dio e glorificheranno allora la sua santa Ispirazione biblico-coranica ripetendo con il Corano:

«Crediamo in esso; esso tutto viene da parte del nostro Signore.» (Corano III; Famiglia d’Imran,5)

Quanto al digiuno, il profeta Isaia (VIII secolo a.C.) l’aveva da tempo spiegato dicendo che l’intenzione divina non mirava al bere e al mangiare, ma alle opere di giustizia:

«Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami dal giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo? Non consiste forse nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, senza distogliere gli occhi da quelli della tua carne?» (Isaia 58,6-7)

Sì, in effetti, noi crediamo che il vero digiuno sia trattenere la lingua dalle parole vane, dalle calunnie che portano danno agli uomini, astenersi dal divorare i beni altrui. Questo è il nutrimento dal quale bisogna astenersi, come aveva detto il Cristo:

«Ascoltate e intendete! Non quello che entra nella bocca rende impuro uomo, ma quello che esce dalla bocca rende impuro l’uomo! Dal cuore, infatti, provengono i propositi malvagi, gli omicidi, gli adultèri, le prostituzioni, i furti, le false testimonianze, le bestemmie. Queste sono le cose che rendono immondo l’uomo.» (Matteo 15,10-20)

Il Corano, ispirato per confermare il Vangelo, conferma queste parole sconvolgenti di Gesù. Infatti, nella Sura della Famiglia d’Imran sono riportate le parole indirizzate da Gesù agli ebrei:

«Io sono venuto per confermare ciò che, prima di me, fu rivelato dalla Torah e permettervi l’uso di certe cose, che vi erano state interdette; io vengo a voi con un Segno da parte del vostro Signore» (Corano III; La Famiglia d’Imran,44)

I discepoli di Dio capirono che nessun cibo è vietato né considerato impuro da Dio. La Torah e il Corano menzionano questi divieti solo per preparare al concetto del puro e dell’impuro nelle azioni e nei comportamenti umani, indirizzandosi a degli uomini che ignoravano Dio, il bene e il male. È per questa ragione che Dio ritorna su questo soggetto e chiarisce la sua intenzione sul puro e sull’impuro nella Sura La Tavola, spiegando che:

«Oggi vi sono permesse le cose sane; gli alimenti di coloro cui é stato dato il Libro (la Bibbia) sono leciti anche a voi, come i vostri alimenti sono leciti anche ad essi.» (Corano V; La Tavola,7)

Dio conferma ancora questa intenzione più avanti nella stessa Sura:

«O voi che credete, non interdite le cose buone, di cui Dio vi ha permesso l’uso, e non andate oltre questo limite, poiché Dio non ama coloro che oltrepassano i limiti. Nutritevi degli alimenti che Dio vi fornisce alimenti leciti e sani.» (Corano V; La Tavola,89-90)

Bisogna constatare che questo comandamento si indirizza a coloro che credono affinché essi lo pratichino: «O voi che credete», e non ai non credenti che trasgrediscono la volontà di Dio non praticandolo. Siamo di quelli che credono alle parole di Gesù che ha dichiarato «permesso l’uso di certe cose, che erano state interdette», del cibo, come precedentemente spiegato. Non siamo dei trasgressori. Noi crediamo anche in Maometto, il suo compagno di missione celeste, che fu inviato per confermare il Vangelo e le parole di Gesù che vi si trovano.

In virtù di questa fede che è la nostra, siamo decisi a non vietare ciò che Dio dichiara lecito, perché Dio dice ancora nella Sura La Tavola:

«Non vi è alcuna colpa per quelli che credono e fanno opere buone riguardo a cibi che abbiano preso, quando temano Dio, credano e pratichino le opere buone.» (Corano V; La Tavola,94)

Fare il bene! È questo il puro che Dio prescrive. Fare il male! Ecco l’impuro che Dio proibisce. Così nella Sura VI; Il Gregge, Dio chiede a Maometto di dire:

«Venite, perché io reciti a voi ciò che il vostro Signore vi ha proibito, di non associargli alcuna cosa (altri dei)… Di non accostarvi alle turpitudini manifeste e segrete, e di non uccidere un altro uomo che Dio ha proibito di uccidere, se non per una giusta causa, questo Dio vi comanda di fare, affinché voi possiate comprendere. Non toccate le sostanze dell’orfano… Date la misura esatta e il peso secondo giustizia… Quando pronunciate un giudizio, siate giusti, anche se si trattasse di un parente; osservate il patto di Dio; ciò Dio vi comanda, perché voi riflettiate. E Sappiate che questo è il mio Sentiero; esso è Retto; seguitelo…» (Corano VI; Il Gregge,152-154)

Da notare che non è una questione di cibo puro e impuro in queste prescrizioni divine del Retto Sentiero. Bisogna dunque attualmente superare queste proibizioni culinarie e materiali, per mettere in pratica ciò che Gesù dice nel Vangelo di Matteo e nella Sura La Famiglia d’Imran. Solo un cuore maturo nella fede sana, all’ascolto delle direttive di Dio giunge a liberarsi delle catene della lettera per lanciarsi in questo «Retto Sentiero» dello spirito prescritto dal Corano.

Questo si applica anche al digiuno del Ramadan. Questo digiuno non è obbligatorio come pretendono i fanatici poiché, come prescrive il Corano stesso, «a quelli poi che potendo fare il digiuno, lo romperanno, toccherà, come espiazione, di nutrire un povero» (Corano II; La Vacca, 180). Il vero digiuno è dunque di non «divorare ciò che è lecito (degli altri)» come prescrive il Corano qui di seguito. Quelli che conducono una vita molto regolare, ben equilibrata in ogni cosa sono quelli che digiunano durante la loro vita.

Abbiamo visto persone che digiunavano per poi gettarsi sul cibo come belve su tavoli molto guarniti e finire per vomitare dopo i loro pasti pantagruelici, sregolati, dalla sera all’alba…

Beati coloro che comprendono l’intenzione divina e praticano l’equilibrio e il dominio di sé in ogni cosa.

Questa è la ragione per cui il Corano prescrive:

«Non vi sia costrizione alcuna nella religione» (Corano II; La Vacca,257)

Questo si applica anche, certamente, al digiuno.

L’ispirazione coranica sottolinea anche il fatto che il digiuno consiste nell’astenersi dall’ascoltare menzogne e dal divorare ciò che è lecito degli altri:

«Coloro di cui Dio non vuole purificare i cuori, ad essi toccherà ignominia in questo mondo e un castigo grande nell’altro. Essi prestano orecchio alla menzogna, divorano ciò che è lecito» (Corano V; La Tavola,45 e 46)

Dio dice anche nel suo Libro Santo:

«Non consumate fra voi le vostre sostanze in cose vane, né offritele ai giudici per appropriarvi e consumare parte delle sostanze degli altri ingiustamente, sapendo il peccato che commettete.» (Corano II; La Vacca,184)

Da questi versetti appare chiaro che la purificazione voluta è quella del cuore, e che il digiuno è astenersi dall’ascoltare le menzogne e dal «divorare» il denaro ingiustamente senza mai saziarsi e non di astenersi dal mangiare cibi materiali per un tempo limitato.
Mosè ha dato agli Ebrei una Legge, la Torah. Certuni si ostinano, ancora oggi, a comprendere questa Legge alla lettera, rifiutando di aprirsi all’intenzione divina. Questa chiusura li ha isolati da Dio; è la ragione principale del rifiuto di Gesù da parte degli Ebrei. Questi attendevano un Messia guerriero, un politico autoritario e un economista geniale. Invece il Messia è venuto a parlare loro di pentimento, d’amore verso gli altri, non di combattimento armato, del disprezzo delle ricchezze, non della loro importanza. Egli ha inoltre spiegato il concetto spirituale dell’abluzione (purificazione fisica per mezzo dell’acqua), del digiuno, del riposo sabbatico e della legge mosaica in generale. I giudei fanatici, però, si sono aggrappati alla lettera della Legge, non al suo spirito, e rifiutarono di riconoscere il Messia che li invitava a lavarsi alla sorgente delle Acque spirituali, non materiali, le sorgenti del pentimento, le sole capaci di purificare il cuore dalle impurità reali.

Ecco perché Dio ci invita nel Corano a un serio esame di coscienza. Questo giustifica o condanna ciascuno di noi:

«Dì loro: che pensate voi? Degli alimenti che Dio ha fatto scendere per voi, voi ne avete dichiarato alcuni leciti e altri illeciti; dì: ve ne ha dato permesso (di dire questo) Dio? O, invece, inventate ciò, contro Dio? Ma che penseranno il giorno della Resurrezione, quelli che inventano menzogne contro Dio? Certamente, Dio è il Signore della grazia verso gli uomini, ma i più di essi non gli sono riconoscenti.» (Corano X; Giona,60-61)

Questi versetti sconvolgenti rivelano che è stato l’uomo, nella sua sciocchezza, che ha distinto «contro Dio» il proibito e il permesso. Quale sarà la risposta di ognuno di noi a questa domanda fatta dal Corano: È Dio che distingue fra ciò che è permesso e ciò che è proibito nei beni che Egli stesso ci dispensa, o è la gretta mentalità dei cattivi credenti che attribuisce questa menzogna a Dio?

D’altronde, e in ogni modo, il Corano rivela che Dio è libero di cancellare ciò che Egli vuole nei Libri rivelati:

«Ogni epoca ha un Libro. Dio cancella ciò che vuole o lo conferma e presso di Lui è la Madre del Libro.» (Corano XIII; Il Tuono,38-39)

Così, abbiamo visto che il Messia ha dichiarato «mondi tutti gli alimenti» (Marco 7,19). In seguito, a proposito di tutti gli animali, Dio ripeté a Pietro per tre volte:

«Ciò che Dio ha purificato, tu non chiamarlo più profano.» (Atti 10,15-16)

Paolo, a sua volta, ha chiarito la questione sul puro e sull’impuro in questi termini:

«Non distruggere l’opera di Dio per una questione di cibo! Tutto è mondo, d’accordo…» (Romani 14,20)

Egli conferma ancora questa verità al suo discepolo Tito:

«Tutto è puro per i puri; ma per i contaminati e gli infedeli nulla è puro; sono contaminate la loro mente e la loro coscienza. Dichiarano di conoscere Dio, ma Lo rinnegano con i fatti…» (Tito 1,15-16)

Il conflitto fra l’interpretazione letterale e quella spirituale è permanente. Dio non ci domanda di avere semplicemente fede nella sua ispirazione, ma buona fede: quella che si sottomette alla sua Intenzione. Dio è spirito e desidera l’elevazione del nostro spirito. Senza ciò noi non potremmo, qualsiasi cosa facessimo per purificare il corpo, elevarci verso Dio. L’abluzione fisica fa parte delle «allegorie» e non è che il simbolo della necessità di una purificazione spirituale, ma essa è incapace di produrla. Questa purificazione si ottiene tramite la fede e le opere buone.

I credenti che cercano il senso spirituale dell’Ispirazione raggiungeranno il sommo della vita spirituale; al contrario, coloro che si attaccano al significato letterale sono dei nani menzionati dal Corano nel versetto seguente:

«Fra gli uomini ce ne sono che servono Dio alla lettera (harf). Se accade loro qualcosa di buono si rallegrano rassicurati. Se accade loro qualche avversità, cadono a faccia in giù perdendo la vita terrena e quella futura. Tale è la perdizione evidente.» (Corano XXII; Il pellegrinaggio,11)

La parola «harf» in arabo ha un primo significato preciso di «lettera». Ora, alcuni traducono questa parola con «margine», che è il suo secondo significato. Se l’intenzione divina fosse stata «margine», la parola araba più precisa sarebbe stata «hâfat». L’intenzione divina qui mira manifestamente a coloro che credono con uno spirito timoroso, attaccato «alla lettera» per paura del castigo, senza cercare di capire l’intenzione dello Spirito Santo per amore di Dio. Ora «la lettera uccide», dice il Vangelo. «Lo Spirito dà vita» (2 Corinzi 3,6).

Come fa, dunque, il credente attaccato al significato letterale a non cadere «a faccia in giù», confuso e sconvolto, quando due frasi della medesima ispirazione sono contraddittorie? In verità, questa contraddizione è solo apparente e resta sul piano letterale, ma questi stessi testi concordano sul piano spirituale e nell’intenzione divina.

Così, elevarsi verso l’intenzione spirituale è una necessità di salvezza, senza la quale si è immersi nel pantano del significato letterale, infangandosi nell’impurità del fanatismo e dell’ignoranza, come è il caso, ahimè, di molti. Questa necessità di elevarsi all’intenzione divina e al senso spirituale dei testi compare in due passaggi sulla creazione apparentemente dissimili:

«…Egli ha creato il cielo e la terra e ciò che è fra di essi, in sei giorni, e poscia si assise sul suo Trono.» (Corano XXV; Al Furquan, 60)

Qui si parla di una creazione in sei giorni. In un altro capitolo, però, troviamo:

«Dì loro: Non credete voi, dunque, in Colui che ha creato la terra in due giorni…» (Corano XLI; Furono Esposti Chiaramente,8)

Le interpretazioni che si sforzano di conciliare la creazione in sei giorni con quella in due giorni sono interpretazioni comiche e fantasiose. Aggrovigliando vani ragionamenti diventano più oscure e non riescono a convincere l’uomo riflessivo, dotato di una mentalità matura e accorta. Esse si allontanano certamente dall’intenzione di Dio nella Sua Ispirazione.

Anche nell’Antico Testamento si trovano due storie sulla creazione. Il primo racconto parla della creazione in sei giorni, dove Dio creò l’uomo e la donna il sesto giorno, dopo aver creato gli animali e le piante (Genesi 1). Il secondo racconto dice esattamente il contrario: Dio creò Adamo da principio e lo pose nel paradiso da solo, poi creò il resto degli animali e infine creò Eva da una costola di Adamo. Il racconto non fa menzione di nessun numero di giorni per la creazione (Genesi 2).

Dunque, c’è contraddizione nell’Ispirazione? No! L’Ispirazione divina non si contraddice mai: ci fa comprendere che Dio, per mezzo di questi racconti, vuole semplicemente rivelare all’uomo politeista l’esistenza di un Creatore unico. Questa semplice verità, da sola, ha suscitato l’odio contro coloro che l’hanno predicata. Lo scopo dei testi è di rivelare agli uomini la conoscenza dell’unico Creatore e di mettere fine alla vana adorazione di idoli e al culto offerto ai molteplici dei della mitologia.

Questo Dio unico invita, con la diversità dei racconti sulla creazione, a oltrepassare la lettera e a elevarsi per raggiungere lo Spirito. L’importante non è sapere come fu creato l’universo, ma è sapere che c’è un solo Dio creatore da adorare. Non si tratta di soddisfare una curiosità scientifica, ricercando nei testi sacri verità di ordine numerico e temporale (numero di giorni della creazione, ecc…), ma di comprendere il messaggio spirituale: l’esistenza di un Dio unico e del giusto modo di adorarLo. È proprio questo che l’Ispirazione vuole rivelarci.

La pedagogia divina nell’ispirazione

Dio, come un padre verso i suoi figli, ha sempre fatto ricorso alla pedagogia nell’Ispirazione per guidare i credenti, conducendoli gradualmente dal punto in cui si trovano fino alla maturità psicologica e spirituale dove Egli li vuole. Ogni credente accorto e perspicace constata che, nel Corano, Dio usa una pedagogia verso gli Arabi del VII secolo d.C.. Questa stessa pedagogia fu applicata da Dio agli Ebrei e ai Cristiani nell’Antico e nel Nuovo Testamento.

Gli Arabi della penisola Araba non conoscevano la vita spirituale a causa della loro ignoranza sulle verità divine rivelate. Prima dell’apparizione del profeta Maometto, essi adoravano a La Mecca più di 360 idoli riuniti nella Qàaba, monumento cubico che contiene la «Pietra Nera», che gli Arabi credono essere discesa dal Cielo.

Questi dei della mitologia araba mangiavano, si sposavano tra di loro e procreavano. Gli Arabi credevano dunque in una mitologia paragonabile a quella dei Greci prima della penetrazione del Cristianesimo in Europa.

Non era possibile dare agli Arabi la pienezza della luce in un solo momento, a causa della loro lontananza totale dalla Verità divina. Nello stesso modo non è possibile all’occhio umano, rimasto a lungo nell’oscurità, aprirsi subito alla luce del sole senza esserne abbagliato, ossia accecato. Analogamente, occorreva dare gradualmente la Luce divina a costoro che erano rimasti per tanto tempo nelle tenebre.

Dio, secondo la sua abitudine, agisce con saggezza per rivelarSi agli Arabi, non solo «in lingua araba chiara», ma anche progressivamente. Fa come il maestro che istruisce il suo allievo a scuola, guidandolo attraverso le elementari, le medie, fino ai diplomi superiori.

Il Creatore aveva seguito questo stesso metodo con Abramo, Mosè e gli Ebrei della Torah, poi con i Cristiani nel Vangelo, rivelando a poco a poco l’essenza del suo Essere unico e spirituale. Questa pedagogia si ritrova nel Corano dove Dio rivela agli Arabi le verità bibliche con una finezza e una delicatezza infinite, come un padre che educhi suo figlio verso la maturità. Per spiegare questo, esporremo due esempi della pedagogia divina, uno sui sacrifici degli animali e l’altro sul matrimonio.

I sacrifici

Al tempo di Mosè, gli Ebrei erano corrotti in Egitto dall’idolatria. Adoravano gli dei egiziani e offrivano loro sacrifici su sacrifici. Per allontanarli da queste pratiche pagane alle quali si erano abituati durante più di quattro secoli e per riavvicinarli gradatamente al Dio unico, Mosè, nella Torah, diede loro un culto. Esso consisteva in sacrifici offerti, non agli dei egiziani, ma al Dio unico che essi avevano dimenticato. Lo scopo di questi sacrifici non era di accontentare Dio, ma di allontanare i Giudei dall’adorazione degli idoli. Fu il primo passo che doveva avvicinarli alla vera adorazione.

Mosè non era capace né di annullare bruscamente e definitivamente la pratica dei sacrifici, né di convincere gli Ebrei della loro incapacità a ottenere la misericordia divina. Essi, a quei tempi, non potevano comprendere l’essenza del pentimento, che consiste nell’avvicinarsi a Dio col perdono e non con i sacrifici. Dio permise, dunque, questi sacrifici come un primo passo per avvicinarli a Lui.

Il secondo passo ebbe luogo più di cinque secoli dopo la partenza degli Ebrei dall’Egitto. Dio ispirò ai suoi profeti la vanità dei sacrifici e degli olocausti di animali, dichiarando che l’unico sacrificio gradito a Lui era il sacrificio spirituale di se stesso. La vera offerta che è gradita a Dio è un’anima pentita che si rassegna interamente alla Volontà divina. Davide, il re profeta, si rivolge così a Dio nel Salmo 51 (50):

«Signore, apri le mie labbra e la mia bocca proclami la Tua lode; poiché non gradisci il sacrificio e, se offro olocausti, non li accetti. Uno spirito contrito è sacrificio a Dio, un cuore affranto e umiliato, Dio, tu non disprezzi.» (Salmi 51 (50), 17-19)

In un altro Salmo Dio dice ancora:

«Mangerò forse la carne dei tori, berrò forse il sangue dei capri? Offri a Dio un sacrificio di lode e sciogli all’Altissimo i tuoi voti; invocami nel giorno della sventura: ti salverò e tu mi darai gloria.» (Salmi 50 (49), 13-15)

Nella Bibbia, Dio dichiarò per bocca del Profeta Geremia (VI secolo a.C.) che Egli non aveva mai preteso sacrifici e olocausti, ma che desiderava che si seguissero i suoi comandamenti. Infatti, Geremia così dice ironicamente agli Ebrei:

«Così parla il Signore degli eserciti, Dio di Israele: Aggiungete pure i vostri olocausti ai vostri sacrifici e mangiatene la carne! In verità Io non parlai né diedi comandi sull’olocausto e sul sacrificio ai vostri padri, quando li feci uscire dal paese d’Egitto. Ma questo comandai loro: Ascoltate la mia voce! Allora Io sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo; e camminate sempre sulla strada che vi prescriverò, perché siate felici.» (Geremia 7,21-23)

Anche il profeta Michea, nel VIII secolo a.C., aveva denunciato la vanità dei sacrifici e proseguiva dicendo:

«Uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono e ciò che richiede il Signore da te: niente altro che praticare la giustizia, amare con tenerezza, camminare umilmente con il tuo Dio.» (Michea 6,6-8)

Il Corano a sua volta ci invita a superare i sacrifici di animali e a comprendere la reale intenzione di Dio. Parlando dei sacrifici, esso dice:

«Mai la loro carne e il loro sangue giungeranno fino a Dio, giungerà invece accetta a Lui la vostra pietà…» (Corano XXII; Il Pellegrinaggio,38)

A dispetto di ciò, vediamo i «credenti» accorrere a milioni verso quei luoghi di pellegrinaggio dove sono offerti un numero incalcolabile di montoni e di altri animali a Dio che non è toccato «mai dalla loro carne e dal loro sangue». Questo costume è piuttosto di natura sociale che spirituale e mira molto spesso a soddisfare una società ipocrita che disprezza ogni vera pietà nella vita quotidiana.

Il matrimonio

Il matrimonio poligamico, presso gli Arabi dell’Antichità era anarchico, allo stesso modo del divorzio. Dominato dal capriccio degli uomini e dai loro istinti, il matrimonio esponeva la donna alla più grande insicurezza e a molti pericoli: poiché il divorzio era libero, la donna non riceveva nessuna indennità. Il ruolo indegno della donna negli harem dell’Oriente arabo antico dispensa da ogni commento.

Il Corano dunque in una prima tappa, riduce il numero delle mogli e impone una legge sul divorzio, in virtù della quale l’uomo deve risarcire la donna divorziata. Il matrimonio è limitato a quattro mogli legittime, a condizione tuttavia che il marito sappia essere equo verso esse, diversamente l’uomo ne sposi una sola. Qui appare la pedagogia divina, perché la limitazione del matrimonio è in sé una grande evoluzione per l’uomo arabo dell’epoca, evoluzione attraverso la quale erano già passati i popoli della Bibbia. Il Corano dice:

«Se temete di non agire con equità verso gli orfani, allora, fra le donne che vi piacciono, sposatene due o tre o quattro; e, se voi temete di essere ingiusti (verso esse), sposatene una sola… date alle donne (mogli) la loro dote, come dono spontaneo.» (Corano IV; Le Donne,3)

Si noti che il primo versetto comincia con l’attirare l’attenzione dell’uomo verso gli orfani, aprendo così una via verso l’altruismo. Poi, parlando del matrimonio, il Corano non solo lo limita, ma impone altresì all’uomo una dote da dare ad ogni sposa. Da una parte, questo fatto non incoraggia la poligamia, dall’altra innalza il rango della donna esigendo una dote dal marito, non dalla moglie, come si praticava da lungo tempo anche nell’occidente cristiano. Il Corano permette alle mogli di rinunciare liberamente a questa dote, in favore del marito:

«Date alle donne la loro dote, come dono spontaneo; se però a esse piace di cedere a voi qualcosa di essa, di spontanea volontà, godetene in modo piacevole e salutare.» (Corano IV; Le Donne,3)

Dopo aver limitato il matrimonio, il Corano raccomanda la monogamia. Riprendendo più tardi lo stesso soggetto, esso presenta la monogamia come il solo mezzo per evitare ogni ingiustizia verso le spose:

«Voi non potrete agire equamente con le vostre mogli, anche se lo desideraste.» (Corano IV; Le Donne,128)

È chiaro che Dio, tramite questo versetto, invita l’uomo alla monogamia. Dopo averlo progressivamente condotto dall’unione senza regola con la donna, passando attraverso il matrimonio condizionato, all’uguaglianza verso le quattro mogli, Dio alla fine gli prescrive la monogamia perché non potrà agire equamente verso più mogli, «anche se lo desiderasse». Ogni credente sincero, che cerca di piacere a Dio, e non di soddisfare i propri desideri, comprenderà questa pedagogia divina, se è maturo nella fede.

Così, è con molta finezza e delicatezza che il Creatore introduce la monogamia nelle mentalità arabe. Tuttavia, la prima impressione, che resta ancora predominante in molti Mussulmani, è che la poligamia sia permessa dal Corano. In verità, è solo tollerata, finché l’uomo non raggiunga una certa maturità psicologica e spirituale. Dio concede così all’uomo, questa creatura che egli sa tanto fragile, il tempo sufficiente per comprendere, con l’esperienza, l’importanza della monogamia nella vita spirituale e temporale.

Osservando la società araba moderna, constatiamo la riuscita del piano pedagogico di Dio nella pratica della monogamia. Oggi, la grande maggioranza degli Arabi ha una sola moglie e la poligamia è screditata. Parimenti, il divorzio è disprezzato nella maggior parte delle famiglie arabe, costituisce generalmente l’ultimo rimedio nei casi molto gravi e seri. Grande è la differenza fra la società islamica di oggi e la società preislamica, dopo il passaggio del soffio vivificante del Corano.

Anche il Vangelo adotta lo stesso atteggiamento pedagogico verso il matrimonio e il divorzio: i Farisei che praticavano liberamente il divorzio, interrogarono il Messia a questo proposito, per metterlo alla prova:

«È lecito ad un uomo ripudiare la propria moglie (divorziare) per qualsiasi motivo?. Ed egli rispose: Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina e disse: Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola? Così che non sono più due, ma una carne sola. Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi. Gli obiettarono: Perché allora Mosè ha ordinato di darle l’atto di ripudio e mandarla via? Rispose loro Gesù: Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così…» (Matteo 19,3-8)

Bisogna sottolineare l’atteggiamento sconcertato degli stessi Apostoli quando ascoltarono le parole del Maestro e gli dissero:

«Se questa è la condizione dell’uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi. Egli rispose loro: Non tutti possono capirlo, ma solo a coloro ai quali è stato concesso. Vi sono infatti eunuchi che sono nati così dal ventre della madre; ve ne sono alcuni che sono stati resi eunuchi dagli uomini e vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il Regno dei Cieli. Chi può capire capisca!» (Matteo 19,10-12)

Da questa storia risultano due fatti importanti: il primo è che fu Mosé a permettere di dare l’atto di divorzio, non Dio. Mosé autorizzò questo come un passo pedagogico, una concessione temporanea, a causa dell’immaturità psicologica degli uomini di quel tempo, concessione che bisognava superare più tardi per ritornare allo stato d’origine voluto da Dio come ha spiegato il Messia. Gli Ebrei, però, attaccati alle tendenze umane, si aggrapparono alla lettera della Legge, rifiutando di elevarsi fino all’intenzione divina.
Il secondo fatto da ricordare è che il Messia, partendo dal suo discorso sul matrimonio e sul divorzio, è andato più lontano, lodando la castità di coloro «che si sono resi eunuchi da soli per possedere il Regno di Dio». Questa espressione non implica un’operazione chirurgica né un celibato perpetuo, ma un matrimonio fedele improntato su sentimenti profondi e spirituali. Non si tratta più di appagare gli istinti puramente sessuali, ma di dominarli, fino all’incontro con il compagno o la compagna scelto/a da Dio. Essi si fanno così spiritualmente «eunuchi», che significa casti e fedeli nel matrimonio unico per tutta la loro vita.

Anche il Corano parla della castità dicendo:

«Quelli che non trovano un partito, si mantengano casti, finché Dio non li arricchisca della sua grazia (mandando lo sposo o la sposa).» (Corano XXIV; La Luce,33)

Gli Arabi al tempo dell’anarchia disprezzavano la continenza e la castità prematrimoniale. Questa virtù era ignorata, ossia disprezzata, al punto che quelli che la praticavano erano accusati di mancanza di virilità. È il caso, ancora oggi, nei paesi cosiddetti cristiani.

Gli insegnamenti coranici hanno portato i loro buoni frutti nei cuori di molti Arabi. Il Corano è l’istigatore dell’evoluzione della società islamica anche se alcuni dei suoi insegnamenti sono rimasti infruttuosi presso parecchi Mussulmani che si sono chiusi allo spirito coranico. Ugualmente, il Vangelo non ha portato i suoi frutti nel cuore dei molti Cristiani che hanno disprezzato la castità e la santità del matrimonio.

L’unità dell’ispirazione

L’ispirazione nella Bibbia e nel Corano è unica. Essa proviene da un solo Dio che ha rivelato Se stesso, manifestando la sua esistenza nei libri dell’Antico e del Nuovo Testamento e nel Corano. È ciò che il Corano afferma, dicendo al popolo della Bibbia:

«Il nostro Dio e il vostro Dio sono un Dio Unico, e noi a lui siamo sottomessi (Mussulmani)…» (Corano XXIX; Il Ragno,45)

Da un unico Dio emana un’unica Ispirazione immutabile e senza falsificazioni. Chi afferma il contrario è un bestemmiatore.

Per scoprire l’unità dell’Ispirazione dei versetti biblici e coranici, bisogna superare le espressioni e gli stili letterali diversi per cogliere il significato profondo spirituale, penetrando così nello Spirito di Dio. Avendo compreso questo punto importante, potremo allora essere testimoni del monoteismo, perché non è né logico, né conveniente testimoniare l’esistenza di un solo Dio senza essere testimoni dell’unità dell’Ispirazione.

I fanatici cercano di dividere quest’Ispirazione, spargendo voci che mirano a suscitare odio e contrasti. Le principali dicerie sono le seguenti:

  • Il Corano non è ispirato da Dio
  • Il Corano abolisce la Bibbia
  • Il Vangelo è falsificato
  • Il Vangelo si contraddice a causa di pretese differenze fra i quattro Vangeli, ecc…

Queste calunnie non hanno alcun fondamento nel Corano. Molti studiosi onesti hanno denunciato queste voci. Fra questi, il defunto Sceicco Mohamed Abdo, antico capo della moschea El-Azhar in Egitto. Egli certificò più di una volta l’autenticità del testo biblico.

Per scoprire l’unità dell’Ispirazione bisogna rispettare due principi:

  1. Ricollocare l’ispirazione nel suo contesto storico, geografico e sociale
  2. Discutere per mezzo del «migliore» argomento, come dice il Corano.

Le migliori interpretazioni del Corano sono quelle che confermano la Bibbia. Tale è il «Retto Sentiero» (Corano I; La Aprente il Libro,5). Per contro, le interpretazioni coraniche che contraddicono lo spirito biblico devono essere respinte, perché sono in contraddizione con il Corano che proclama autentiche le Scritture bibliche apparse prima di Lui. Queste false interpretazioni sono la strada tortuosa che prendono coloro «che, errando, attirano l’ira di Dio».

Ricollocare l’ispirazione nel suo contesto

Per comprendere un’ispirazione, sia biblica, sia coranica, bisogna conoscere il profeta al quale Dio ha ispirato il messaggio, la ragione per la quale questo messaggio è stato dato e il suo contesto sociale e storico. Infatti, Dio dice nel Corano:

«Non mandammo mai alcun apostolo, che non abbia parlato nella lingua del proprio popolo perché dichiarasse loro la verità.» (Corano XIV; Abramo,4)

Perciò bisogna conoscere il popolo, il tempo, la lingua di ogni profeta e la società in mezzo alla quale fu mandato, come pure il contesto storico, per comprendere la portata del messaggio ispirato.

Nel caso del Corano l’Ispirazione fu data nella penisola Araba, per informare i suoi abitanti dell’esistenza di un Dio unico e dell’inesistenza dei loro dei mitologici. Il Corano annuncia agli Arabi che quello stesso Dio si era fatto conoscere precedentemente ai popoli della Bibbia e che, tramite il Corano, Egli si presenta a loro e gli presenta questa Bibbia in «lingua» o «lettura araba chiara», perché essi seguano lo stesso cammino dei loro predecessori (Ebrei e Cristiani):

«Vuole Dio manifestare a voi queste cose, dirigervi per le vie di coloro, i quali furono prima di voi…» (Corano IV; Le Donne,31)

Il cammino dell’Islam è dunque quello della Bibbia. Perciò Dio invita gli Arabi a credere non solo nel Corano, ma anche nella Bibbia. Qui si manifesta l’unità dell’Ispirazione:

«Credete in Dio, nel suo apostolo (Maometto) e nel Libro che Dio ha fatto scendere (Il Corano) al suo apostolo e nel Libro che Egli ha fatto scendere precedentemente (La Torah e il Vangelo)…» (Corano IV; Le Donne,135)

Credere nella Bibbia e nel Corano è una condizione per la fede monoteista e per realizzare l’unificazione dell’Ispirazione. È credendo nell’autenticità della Bibbia che scopriamo l’interpretazione corretta del Corano, poiché questo attesta l’autenticità della Bibbia.

Come certuni vogliono affermare che la Bibbia e in particolare i Vangeli siano falsi, mentre il Corano stesso afferma il contrario? Infatti il Corano segnala:

«Quelli ai quali demmo il Libro (La Bibbia) e lo recitano come dev’essere recitato, quelli credono in esso; quelli invece che non credono in esso, quelli saranno i perditori…» (Corano II; La Vacca,115)

La nostra convinzione nell’unità dell’Ispirazione divina e nella protezione di Dio ci impone una fede nella Bibbia e nel Corano che deriva da essa. Gli adepti della falsificazione della Bibbia contraddicono il Corano. Infatti, come abbiamo visto, Dio dice:

«Quelli invece che non credono in esso, quelli saranno i perditori.» (Corano II; La Vacca,115)

Attiriamo l’attenzione del lettore sul fatto che il Corano testimonia in favore della lettura del Vangelo «come dev’essere letto», cioè «come è stato ispirato», secondo l’interpretazione coranica del «Jalalein». Il fatto che il profeta arabo Maometto abbia sempre fatto ricorso a «coloro che leggono le Scritture» (La Bibbia), quando dubitava sulla sua missione, aumenta ancora la nostra fede e il nostro attaccamento a queste Sante Scritture. Dio stesso lo guidava verso «i popoli della Bibbia»:

«Ora, se tu (o Maometto) sarai in dubbio riguardo a ciò che abbiamo rivelato a te, interroga quelli che leggono il Libro, inviato prima di te; ora la verità è venuta a te, da parte del tuo Signore; non essere quindi di quelli che dubitano.» (Corano X; Giona,94)

Noi abbiamo provato a limitarci al Corano nella nostra ricerca della Verità, ma esso ci invita e ci spinge a riferirci al Vangelo, dicendo:

«Dì: O gente del Libro (Bibbia), Voi non vi appoggiate su nulla di solido, finché non vi atterrete alla Torah, al Vangelo.» (Corano V; La Tavola,72)

Partendo dalla testimonianza del Corano in favore della Bibbia ci siamo fissati come obiettivo manifestare l’unità dell’Ispirazione in questi due Libri ispirati. Ci siamo sforzati senza tregua di trovare il punto d’incontro fra il Corano e la Bibbia e, grazie a Dio, ci siamo riusciti.

La discussione per mezzo del «migliore» degli argomenti

Nel corso del nostro studio, siamo giunti alla seguente conclusione: ogni interpretazione coranica contraria alla Bibbia si oppone allo spirito del Corano e deve essere scartata, poiché il Corano viene per confermare la Bibbia e non per contraddirla.

Nel Corano si trovano 15 versetti che rivelano che il Corano fu ispirato per confermare la Bibbia. Eccone due esempi:

«Credete a ciò che ho fatto scendere a conferma di quanto è presso di voi (La Bibbia).» (Corano II; La Vacca,38)
(Vedere anche Corano II; La Vacca,85, 91, 93, 99)

«Egli ha fatto scendere a te, secondo verità, il Libro che conferma ciò che egli ha fatto scendere prima di esso (Bibbia); ha fatto scendere il Pentateuco (Torah) e il Vangelo, prima del Corano, come direzione degli uomini…» (Corano III; La Famiglia d’Imran,2)
(Vedere anche Corano III; 78 / IV; 47 / V; 48 / VI; 92 / X; 38 / XII; 2-3 / XXXV; 28 / XLVI; 11, 29)

La nostra linea di condotta si ispira al comandamento coranico luminoso: «Discutere per mezzo del migliore argomento» (Corano XXIX; Ragno,45). Ora il «migliore» degli argomenti è quello che dimostra che il Corano conferma la Bibbia e risiede nella scoperta dell’unità dell’Ispirazione biblico-coranica. Tale è il «Sentiero Retto» degli eletti (Corano I; La Aprente il Libro,5) e «l’Ansa Saldissima» (Corano II; La Vacca,257). Inoltre, ci siamo sforzati di trattare i soggetti con amore e con la massima circospezione per non cadere nella trappola delle controversie per mezzo del peggiore degli argomenti, come fanno molti. Costoro sono responsabili dell’allontanamento di molte persone dal Corano a causa dei loro comportamenti insensati e fanatici. Essi sfigurano il vero volto e la purezza dell’Islam e si caricano della responsabilità del traviamento delle anime e della divisione dei ranghi. Questi dovranno rispondere del loro atteggiamento colpevole nel Giorno del Giudizio davanti al Trono di Dio, essendosi lanciati nel cammino tortuoso che prendono coloro «che, errando, attirano l’ira di Dio».

Commento

Il Corano ripete con forza il comandamento biblico indirizzato alla gente della Bibbia, Ebrei e Cristiani, per diffondere la conoscenza della Bibbia e non per soffocarla:

«E quando Dio ricevette il Patto di quelli ai quali fu dato il Libro (La Bibbia), dicendo: ‘Voi dichiarerete esso agli uomini e non lo terrete nascosto’, essi lo gettarono dietro le loro spalle e lo vendettero per un prezzo meschino; però ben triste è ciò che essi hanno acquistato.» (Corano III; La Famiglia d’Imran,184)

Le guide dei popoli della Bibbia hanno trascurato di diffondere la sua Luce divina. Hanno mantenuto questo messaggio divino chiuso ermeticamente, non spiegato, così che il popolo credesse ciecamente, senza comprendere le ragioni della sua fede, ignorando le profezie e la loro stessa esistenza. Il Corano, naturalmente, dopo la Bibbia, condanna queste guide traditrici, ebraiche e cristiane, e rivela la loro negligenza.

Tuttavia, che cosa pensare di capi mussulmani e arabi che esiliano la Bibbia fuori dalle loro frontiere mentre il Corano, fortunatamente, è accolto ovunque? Il Corano esige, però, anche da essi (si suppone che essi lo sappiano) che anche il Messaggio Biblico sia rivelato chiaramente a tutti gli uomini e diffuso nel mondo intero, minacciando coloro che ne soffocano la Luce dei peggiori castighi:

«Quanto a coloro che tengono celato quel che facemmo scendere dei Segni evidenti e della direzione dopo che ne facemmo dichiarazione agli uomini del Libro, quelli Dio li maledirà e li malediranno pure tutti quelli che sanno maledire.» (Corano II; La Vacca,154)

«Coloro che tengono celata la rivelazione contenuta nel Libro e ottengono con ciò un vantaggio infimo, quelli non introducono nei loro ventri se non il fuoco; Dio non parlerà loro, il Giorno della Resurrezione (del Giudizio), né li purificherà e ad essi toccherà un castigo doloroso» (Corano II; La Vacca,169)

Ogni ulteriore commento è superfluo.

I punti di controversia

In questo capitolo esamineremo i punti di controversia più importanti, oggetto di discussione fra le differenti confessioni. Queste affrontano, senza un sincero sforzo, la ricerca dell’unità dell’Ispirazione biblico-coranica. Ci dispiace che si trovino dei responsabili religiosi che si affrettano a parlare delle verità rivelate senza conoscenza da parte loro, in maniera superficiale e infantile, sprovvisti di ogni pudore e di ogni maturità spirituale.

I principali argomenti e pregiudizi ai quali fanno ricorso certi cristiani fanatici per rifiutare il Corano e il suo nobile Profeta, sono i seguenti:

  • Il Corano contraddice alcune verità evangeliche
  • La vita di Maometto (poligamia e guerre) dimostra che egli non è un profeta.

Noi dimostreremo che il Corano non si oppone a nessuna delle dottrine evangeliche. Un gran numero di Cristiani è stato condotto a credere in questi errori a causa della falsa interpretazione presentata da certi Mussulmani di alcuni testi coranici.

A partire dai principi d’interpretazione menzionati nel primo capitolo, scopriremo nelle pagine seguenti il pieno accordo e l’unità dell’Ispirazione biblico-coranica. I Cristiani perciò non hanno alcuna ragione giustificabile per rifiutare il Corano, come i Mussulmani per disprezzare la Bibbia. In seguito, presenteremo la vita di Maometto a grandi linee, scagionandolo da tutte le false accuse scagliate contro di lui.

Abbiamo già menzionato succintamente le ragioni che hanno allontanato molti Cristiani dal Corano. Ecco ora i punti salienti sui quali si appoggiano certi Mussulmani per attaccare il cristianesimo:

  1. La Trinità Divina, i tre aspetti del Solo e Unico Dio
  2. Il titolo di Figlio di Dio attribuito al Messia
  3. La divinità del Messia
  4. La crocifissione e la messa a morte del Messia
  5. La falsificazione della Bibbia (Antico e Nuovo Testamento)

L’importante in questi argomenti è sapere cosa dice a riguardo l’Ispirazione divina, perché la nostra discussione si appoggia sulla base solida di un «Libro luminoso» come consiglia il Corano. Se ritroveremo questi punti in un Libro ispirato, ci crederemo, se no li rigetteremo. Dopo aver risposto a ciascuno di questi punti, avremo, per questo fatto stesso, confutato sia gli argomenti presentati da certi Cristiani per rifiutare il Corano che gli argomenti di certi Mussulmani per rigettare la Bibbia e i suoi insegnamenti.

La Trinità Divina, i tre aspetti del Solo e Unico Dio

Dio si è rivelato nella Torah, nell’Antico Testamento, come l’unico Creatore, nessun altro dio all’infuori di Lui. Il Vangelo viene a confermare questa verità, aggiungendovi una sfumatura più profonda. Dio è unico, ma non è isolato da Se stesso e solitario. In compagnia della Propria Persona, Egli si rivela Uno in Tre «Aspetti»: Il Padre, la sua Parola ossia il Figlio e il suo Spirito. Infatti, San Giovanni dice al principio del suo Vangelo:

«In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era al principio presso Dio: Tutto è stato fatto per mezzo di Lui, e senza di Lui niente è stato fatto… E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi.» (Giovanni 1,1-14)

Tali sono le parole dell’Ispirazione evangelica. Esse ci informano che Dio ha una Parola, che è Dio stesso. Dio e la sua Parola sono dunque una sola e stessa essenza, così come l’uomo e la sua parola sono una sola persona. La Parola che si è fatta carne è Gesù il Messia, conosciuto dal Corano come «Il Verbo (la Parola) di Dio».
Nel Vangelo, il Messia ha raccomandato ai suoi Apostoli di battezzare i credenti nel Nome del Padre, del Figlio (la Parola di Dio) e dello Spirito Santo:

«Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel Nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.» (Matteo 28,19)

Notate che il Messia non ha detto di battezzare «nei nomi» al plurale, ma al singolare: «nel Nome». Dio è Unico e il Suo Nome è menzionato al singolare non al plurale. Ogni credente conclude da queste parole che Dio è Padre, Figlio e Spirito Santo, o in altre parole: Dio, la Sua Parola, il Suo Spirito.

Il Messia, prima di lasciare questo mondo, vedendo i suoi Apostoli tristi al pensiero di questa separazione, disse che Egli avrebbe mandato loro lo Spirito Consolatore che Lo avrebbe sostituto come Compagno permanente:

«Io pregherò il Padre ed Egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito di Verità (lo Spirito Santo)… Non vi lascerò orfani, ritornerò da voi.» (Giovanni 14,16-18)

I credenti compresero da queste parole che il Consolatore che doveva venire, dopo l’Ascensione di Gesù, era lo Spirito di Dio, che è anche lo Spirito di Gesù: Dio Stesso. Per questo il Messia aveva detto: «Non vi lascerò orfani, ritornerò da voi», cioè sotto forma del Suo Spirito Consolatore. Egli voleva fargli comprendere che questo Spirito ed Egli Stesso sono uno. Per questo, il Messia è riconosciuto dall’Islam come «la Parola di Dio» e «lo Spirito di Dio»:

«Il Messia Gesù, figlio di Maria, è l’Apostolo di Dio, il Suo Verbo, che Egli gettò in Maria, e uno Spirito, proveniente da Lui» (Corano IV; Le Donne,169)

Certi credenti pensano che questo Spirito Consolatore promesso dal Messia ai suoi Apostoli non sia altro che il profeta Maometto. Questa interpretazione è in disaccordo con il Corano e il Vangelo. Infatti, l’Ispirazione evangelica dice che dieci giorni dopo la sua Ascensione, Gesù mandò lo Spirito Santo sugli Apostoli «ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue» (Atti 2,4).

Questo versetto e gli altri versetti evangelici e coranici concernenti lo Spirito Santo non possono essere applicati al profeta Maometto. Inoltre, il Vangelo e il Corano rivelano che lo Spirito Santo si posò su Maria, la Vergine, affinché ella divenisse incinta del Messia:

«Le rispose l’angelo (a Maria): lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo…» (Luca 1,35)

«Il Messia Gesù, figlio di Maria, è l’Apostolo di Dio, il Suo Verbo, che Egli gettò in Maria, e uno Spirito proveniente da Lui» (Corano IV; Le Donne,169)

«Noi le (a Maria) inviammo il nostro Spirito, che si fece simile per Essa a un uomo perfetto.» (Corano XIX; Maria,17)

Questo Spirito non può essere Maometto che non era ancora nato. Questa falsa interpretazione, senza fondamento nelle scritture, non può dunque essere presa in considerazione.

Nell’Antico Testamento, Dio rivelò la Trinità in un modo che non fu compreso se non con la Rivelazione evangelica. Il libro della Genesi racconta l’apparizione di Dio ad Abramo sotto la forma di Tre Uomini:

«Poi Yahvé apparve a lui alle Quercie di Mamre, mentre egli sedeva all’ingresso della tenda nell’ora più calda del giorno. Egli alzò gli occhi e vide che tre Uomini stavano in piedi presso di lui. Appena li vide, corse loro incontro all’ingresso della tenda e si prostrò fino a terra, dicendo: Mio Signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passar oltre senza fermarti dal tuo servo. Si vada a prendere un po’ di acqua, lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero…» (Genesi 18,1-5)

Il fatto strano, in questa storia biblica è che Abramo parla a questi tre «Uomini», ora al singolare, ora al plurale e sembra sbalordito davanti a questa visione Trinitaria di Dio. Molti cristiani, all’alba del Cristianesimo, fecero confusione fra la Trinità (un solo Dio in tre Persone) e il Triteismo (tre dei).

Nell’ispirazione Evangelica, Dio ci invita a discernere la Sua Parola e il Suo Spirito nella sua Essenza divina. L’Essere divino è Dio, ovvero il Padre, la Parola che emana (o nasce) da Lui e in Lui, beninteso spiritualmente, è il Figlio, e la mentalità di Dio o il suo stato di Spirito è lo Spirito Santo. Questa Parola e questo Spirito sono la Parola e lo Spirito di Dio, non la parola e lo spirito di altri dei. Questa è la Trinità, un solo Dio in tre «Uomini», queste Persone possono essere distinte, ma non separate.

Certa gente si domanda perché tutte queste distinzioni e queste parole complicate? Noi rispondiamo loro: «È Dio che ha preso l’iniziativa di farSi conoscere, d’informarci di ciò che Egli giudica utile a proposito del suo Essere divino. Il nostro dovere è di sforzarci di comprendere per riconoscere, infine, che non è poi così complicato come lo si pensi».

Quanto al triteismo è una dottrina che differisce totalmente dalla Trinità, poiché insegna l’esistenza di tre dei in tre essenze divine differenti, nelle quali ciascun dio ha la propria essenza: come dire il dio del bene, il dio del male e il dio del castigo, tutti e tre eterni e separati l’uno dall’altro. Questa, ben inteso, è un’eresia condannata dagli Apostoli, dai dirigenti cristiani dei primi secoli e dal Corano. I Mormoni come anche alcune sette induiste credono nel triteismo.

Certi Giudei malintenzionati combatterono il cristianesimo fin dagli inizi dividendo i gruppi per mezzo di eresie, una delle quali fu il triteismo. Altre eresie sostenevano perfino che Maria, la madre del Messia, fosse una delle tre divinità. Questo triteismo, amalgama di cristianesimo corrotto e di paganesimo, si sparse nei primi secoli della nostra era. Per questo, il Corano condanna questa apostasia, dicendo:

«Miscredenti sono, invero, quelli che dicono: ‘In verità Dio è il terzo di tre’, mentre non vi è altro Dio se non un Dio unico.» (Corano V; La tavola,77)

(Interpretazione di «Jalalein»: «Dio è uno di questi tre, gli altri due sono Gesù e sua madre. Una parte dei cristiani pensa questo.»)

Constatate che solo una parte dei Cristiani sono presi di mira nel Corano. Il Corano spiega ancora che i tre dei adorati da questa setta cristiana sono Dio, Gesù e Maria:

«E quando Dio disse: ‘o Gesù, figlio di Maria, hai mai detto agli uomini: prendete me e mia madre come divinità, accanto a Dio’? ‘per Tua gloria no’, rispose Gesù, ‘perché dovrei dire ciò che Io non ho il diritto di dire’?» (Corano V; La Tavola,116)

«O Gente del Libro (la Bibbia), non eccedete nella vostra religione, né dite, riguardo a Dio, se non la verità; certo il Messia Gesù, figlio di Maria, è l’Apostolo di Dio, il Suo Verbo, che Egli gettò in Maria, e uno Spirito proveniente da Lui; credete dunque in Dio, e nei suoi Apostoli e non dite: ‘tre’ (Dio, Gesù e Maria; ‘Jalalein’); desistete da ciò, questo sarà meglio per voi; in verità, Dio è un dio solo.» (Corano IV; Le Donne,169)

Oggi, nessuna confessione cristiana crede che Maria sia una dea, né che «Dio sia il terzo di tre». Queste parole sono eretiche. Il Vangelo non ha mai detto questo, poiché non vi è che un solo Dio la cui Essenza è Dio, la sua Parola e il suo Spirito. Questo non significa tre dei, ma un Dio in tre «Persone». Tutti coloro che arrivano a distinguere tra Trinità e triteismo dimostrano di aver raggiunto una grande maturità di riflessione. Perché ogni cristiano è d’accordo con il Corano nel dire:

«Miscredenti sono, invero, quelli che dicono: ‘In verità Dio è il terzo di tre’, mentre non vi è altro Dio se non un Dio unico.» (Corano V; La Tavola,77)

Nessun Cristiano degno di questo nome può dire tali parole eretiche. Al contrario, deve reprimere questo genere di pensieri, perché Dio non è né «terzo», né «secondo», né «primo di tre»: Dio è uno, non vi è altro dio, se non Lui. Che Egli sia lodato! Noi siamo tutti con il Corano per respingere il triteismo. Se il Corano avesse avuto l’intenzione di negare la Trinità, avrebbe detto: «Miscredenti sono tutti coloro che dicono: Dio è Uno in Tre». Che i Cristiani, oggi, sappiano dunque che il Corano non li accusa affatto di bestemmia a motivo della loro fede, né li prende di mira nei versetti precitati. Che i Mussulmani sappiano anche questo del Corano e dei loro fratelli cristiani. Perché dunque questa repulsione reciproca quando vi è accordo fra le Sacre Scritture?

Ecco un chiarimento semplice sulla Trinità: l’uomo e la sua parola sono una medesima essenza, come lo sono l’uomo e il suo spirito. Dunque, l’uomo, la sua parola e il suo spirito sono una medesima essenza. In maniera simile Dio, la sua Parola e il suo Spirito sono Uno. L’uomo che dà la sua parola, dà se stesso totalmente: la sua parola, la sua anima e il suo spirito. Aggiungendo l’uomo alla sua parola e al suo spirito, non si ottengono tre uomini, ma un solo uomo nei suoi tre aspetti. Anche l’uomo è dunque una trinità e un’immagine ridotta della Trinità Divina. Non c’è niente di sorprendente in questo poiché Dio creò l’uomo a Sua Immagine.

Esiste nell’uomo un movimento spirituale vitale fra sé e sé. Egli si consulta, esamina il proprio spirito e s’interroga ragionando. È in accordo con le proprie azioni o le ripudia; l’uomo non è isolato dal suo pensiero, a meno di essere in conflitto con sé stesso, affetto da malattie psicologiche che dividono la sua personalità, lasciando intravedere i sintomi dello squilibrio. L’uomo è una trinità. Questo movimento spirituale segnalato nell’uomo è perfettamente armonioso in Dio.

Un altro esempio della Trinità Divina: Il Sole, la sua Luce e il suo Calore sono tre aspetti di una stessa entità. Il Sole rappresenta Dio Padre, la sua Luce rappresenta il suo Verbo vivente e vivificante mandato come luce al mondo e il suo Calore rappresenta lo Spirito Santo vivente sentito in noi. Coloro che non approfittano del Sole e della Vita sono quelli che chiudono volontariamente le persiane delle loro dimore.

L’Ispirazione evangelica ci ha insegnato che il Creatore è Uno, ma non separato dalla sua Personalità. Aperto a Se Stesso, Egli è in compagnia della propria Persona, perfettamente in pace con Se Stesso, pienamente cosciente del suo Essere. Dio si ama sapendo di essere la Bellezza senza tara. Tutti coloro che meditano su Dio con purezza di cuore risentono dell’armonia infinita dell’Essere divino e scoprono il triplice movimento della sua Essenza unica infinitamente amabile.

Dio, il Pensiero che Egli ha di Se stesso e l’Amore del suo Essere perfetto sono chiamati nel Vangelo: il Padre (Dio), il Figlio (la sua Parola ovvero il suo Pensiero espresso in Se stesso) e lo Spirito (l’ambiente d’amore nel quale Dio è immerso).

Il Corano ci invita a discernere tra Trinità e triteismo. Coloro che rispondono a questo appello con rinuncia di sé compiono un passo psicologico e spirituale gigantesco, che li rende adatti ad unirsi eternamente a Dio, prendendo parte al suo Amore e alla sua Vita senza fine.

Il Messia e il suo titolo di Figlio di Dio

Molti sono sconcertati dal titolo di «Figlio di Dio» attribuito a Gesù, perché, dicono, che Dio non ha figli come gli uomini. Ora, la qualità di Figlio di Dio legata al Messia significa che Egli non ha un padre umano. Alla domanda: «Chi è la madre del Messia?», la risposta è: «Maria». E «Chi è suo padre?», la Bibbia e il Corano sono d’accordo nel riconoscere che avendo nessun uomo conosciuto Maria, nessuno ha il diritto di arrogarsi la paternità fisica di Gesù. Il Vangelo e il Corano sono d’accordo nel riconoscere questo fatto. Tale è l’intenzione del Vangelo nel dare al Messia la qualifica di Figlio di Dio, essendo Giuseppe suo padre adottivo.
Questa verità è confermata dall’Antico Testamento e da molti profeti. Nel X secolo, prima della nostra era, Dio inviò il profeta Nathan dal re Davide per annunciargli la nascita del Messia dalla sua discendenza. Dio disse a questo proposito:

«Io gli sarò Padre ed Egli Mi sarà figlio.» (2 Samuele 7,14)

Nell’VIII secolo a.C. il profeta Isaia annunciò:

«Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio.» (Isaia 7,14)

Queste profezie furono comprese solo con la nascita del Messia, Gesù, dalla giovane vergine Maria. Il Vangelo racconta che l’Angelo Gabriele annunciò a Maria che ella avrebbe dato alla luce un figlio maschio. Essa si stupì domandando:

«Come è possibile? Non conosco uomo. Le rispose l’Angelo: ‘Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo e per questo Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio’.» (Luca 1,34-35)

Bisogna esaminare attentamente le parole dell’Angelo, esse rivelano la ragione per la quale il Messia è chiamato «Figlio di Dio», spiegando che lo «Spirito Santo» verrà su Maria, «è per questo motivo che sarà chiamato Figlio di Dio», non essendo figlio di nessun uomo.

Il Vangelo di Matteo ci fa sapere inoltre che l’Angelo apparve in sogno a Giuseppe per assicurarlo sulla verginità di Maria, perché egli ne dubitava. L’Angelo gli disse:

«Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù… Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta (Isaia): Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio.» (Matteo 1,20-23)

Dio ispirò questo fatto anche nel Corano, attestando la nascita miracolosa del Messia dalla Vergine Maria per mezzo di un’azione divina, non umana, Maria rispose all’Angelo:

«Disse Maria: ‘come avrò io un figlio, mentre non mi ha toccato uomo, né sono dissoluta?’ Disse Gabriele: ‘così deve essere; il tuo Signore ha detto: ciò è, presso di me, e noi faremo di lui un segno per gli uomini e una prova di misericordia, da parte nostra, poiché è cosa decretata’. Quindi Maria concepì Gesù e si appartò con Lui, in una località lontana.» (Corano XIX; Maria,20-22)

Così il Corano certificò agli Arabi che la madre del Messia è vergine, poiché mise al mondo un figlio senza intervento umano, ma su iniziativa ed intervento divino. Questo caso unico nella storia umana ha valso al Messia, e a Lui solo, il titolo di «Figlio di Dio», perché ogni altro uomo ha un padre e una madre. A differenza di Adamo, Gesù aveva una madre mentre lui fu creato, dice la Bibbia, con del fango (o della polvere). Adamo non ha né padre, né madre.

Come comprendere ciò che il Corano rivela nella sura seguente a proposito dell’Unità di Dio:

«Dì: Egli, Dio è Uno, Dio l’Eterno. Egli non ha generato, né è stato generato, e non vi è alcuno uguale a Lui.» (Corano CXII; Il Culto Puro,1-4)

Nostra risposta: Queste parole sono indirizzate ai Pagani di La Mecca a proposito dei loro dei mitologici, non ai Cristiani a proposito del Messia. Infatti, questi Pagani credevano che i loro dei mangiassero, si sposassero e generassero figli. Il Corano viene a dire loro che Dio non è come i loro idoli, ma che Egli è eterno, non generato, né genitore di un altro dio con l’aiuto di una compagna, anch’ella dea, che divida la sua divinità, come nella mitologia.

Il Corano stesso ci spinge a spiegare questi versetti come abbiamo fatto: Dio non ha delle concubine con le quali dorme per avere figli, come era il caso degli dei di La Mecca:

«Creatore dei cieli e della terra, come avrebbe Egli un figlio, non avendo Egli una consorte?, Egli ha creato ogni cosa ed Egli è onnisciente» (Corano VI; Il Gregge,101)

Questo versetto coranico non mira a Gesù, ma a quelli che:

«Hanno assegnato i ginn a Dio come suoi soci, mentre Egli (Dio) li ha creati e hanno falsamente ascritto a Lui figli e figlie (mitologici), per la loro insipienza (perchè sono nell’errore); gloria a Lui! Egli è ben superiore a ciò che gli attribuiscono.» (Corano VI; Il Gregge,100)

È in questo stesso senso che bisogna anche interpretare i versetti seguenti:

«Essi dicono: ‘Il Misericordioso si è preso un figlio’ (unendosi ad una compagna). Dì loro: ‘Avete asserito una cosa mostruosa’…» (Corano XIX; Maria,91)

Per questa ragione, Maometto dice ancora nel Corano:

«Dì: se il misericordioso avesse un figlio, io sarei il primo ad adorarlo.» (Corano XLIII; Gli Ornamenti d’oro,81)

L’intenzione divina evidente in questo versetto mira ai figli dei «ginn» (spiriti e divinità mitologici arabi), non al Messia nato dalla Parola di questo Dio unico del quale Maometto fu «il primo adoratore», essendo stato «il primo Musulmano» della penisola Araba come spiega il Corano.

Era difficile per gli Arabi dell’epoca preislamica comprendere le verità spirituali evangeliche. Essi erano immersi nei piaceri dei sensi, al punto di credere che i loro dei si sposassero e avessero delle concubine come essi stessi, così come «figli e figlie» come rivelato nella Sura «Il Gregge». Il Corano viene a spiegargli nella loro lingua e nella loro mentalità, mettendosi al loro livello, l’esistenza di un Dio unico che ha creato tutte le cose. Questo Dio non ha affatto bisogno di concubine per generare un figlio con un atto sessuale, poiché la sua potenza spirituale è tale che con una sola parola crea ciò che Egli vuole.

Gli Arabi non erano preparati a comprendere e ad accettare una creazione fatta per ordine divino. Dio viene a presentare questo fatto attraverso il Corano, spiegando loro la differenza fra il comportamento dei loro dei mitologici e quello dell’unico Dio Creatore:

«Non si addice a Dio di prendersi alcun figlio (per mezzo di rapporti fisici come gli dei di La Mecca); gloria sia a Lui! Quando Egli ordina una cosa, Egli dice solo ad essa: ‘sii’, ed essa è.» (Corano XIX; Maria,36)

Il Corano dice ancora nella sura «Le Schiere»:

«Se Dio avesse voluto prendere per sé della prole, certamente, avrebbe scelto, fra ciò che Egli ha creato, quel che voleva.» (Corano XXXIX; Le Schiere,6)

Ora, il Corano rivela che Dio ha scelto Maria allo scopo di avere un figlio:

«Gli angeli dissero a Maria: ‘O Maria, Dio ti ha scelta, ti ha resa pura e ti ha prescelta fra le donne di tutte le creature.’» (Corano III; La Famiglia d’Imran,37)

«Rispose Gabriele: ‘io sono soltanto l’inviato del tuo Signore, incaricato di dare a te un figlio puro’. Disse Maria: ‘Come avrò io un figlio, mentre non mi ha toccato uomo…?’ Disse Gabriele: ‘così deve essere; il tuo Signore ha detto: ciò è, presso di me, facile e noi faremo di Lui un Segno per gli uomini e una prova di misericordia, da parte nostra, poiché è cosa decretata’. Quindi Maria concepì Gesù.» (Corano XIX; Maria,19-22)

È esattamente quello che è successo con il Messia. Il Corano dichiara, infatti, come abbiamo visto, che Dio ha scelto la Vergine Maria per creare, nel suo seno, e attraverso la Sua Parola divina, il Suo Messia benedetto. È lì dunque, nel seno di Maria, che Dio dice al Messia «Sii!» ed Egli fu. Subito la Vergine scelta fu incinta della Parola di Dio, come rivela la sura «La Famiglia d’Imran»:

«Gli angeli dissero a Maria: ‘O Maria, Dio ti annunzia il Suo Verbo, il cui nome sarà il Messia.’» (Corano III; La Famiglia d’Imran,40)

Così, il Corano viene a confermare la rivelazione evangelica a proposito del Messia:

«… e il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di Unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità.» (Giovanni 1,14)

Riportiamo infine questi ultimi versetti coranici:

«I Giudei dicono: ‘Uzair (Esdra) è Figlio di Dio’, e i Cristiani dicono: ‘Il Messia è Figlio di Dio’, questo è ciò che essi dicono colle loro bocche, imitando i detti di coloro che, prima di loro, non credettero; Dio li combatta! Quanto vanno errati.». (Corano IX; Il Pentimento,30)

Dobbiamo comprendere questi versetti tenendo conto del fatto che il Corano confermi la Bibbia e non la contraddica. Agire diversamente sarebbe lasciarsi deviare verso il peggiore degli argomenti anziché orientarsi verso il migliore degli argomenti che è «il Retto Sentiero» prescritto dal Corano. In questa Via luminosa, noi comprendiamo questo versetto nel seguente modo: «Essi dicono: Il Messia è il Figlio di Dio, ma questa parola viene fuori unicamente dalle loro bocche»; essa non è radicata profondamente nel loro cuore e non apporta alcuna conseguenza spirituale positiva nel loro comportamento quotidiano. Essi continuano a vivere come Pagani. Se questa parola sorgesse dal profondo dei loro cuori avrebbe cambiato le loro vite. Ora, essi agiscono in tutto come questi Pagani politeisti. Essi «ripetono» adoperando ahimè il nome del Messia, quello che i miscredenti dicevano prima di essi a proposito delle loro divinità che partorivano figli e figlie. Questi «stupidi» somigliano in tutto ai Pagani e subiranno la stessa condanna. Ancora oggi possiamo constatare il declino morale della grande maggioranza dei cosiddetti Cristiani che «dicono con le loro bocche che il Messia è il Figlio di Dio», ma si comportano essi stessi come figli del diavolo. Il Cristo aveva ben ragione a dire:

«Ipocriti! Bene ha profetato di voi Isaia, dicendo: Questo popolo mi onora con le labbra ma il suo cuore è lontano da me. Invano essi mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini.» (Matteo 15,7-9)

Il Corano non fa altro che riportare nella propria lingua queste parole del Messia indirizzate ai falsi credenti.

L’intenzione dell’Ispirazione divina nel dare al Messia il titolo di «Figlio di Dio» è dunque chiara: significa che Egli non ha padre umano. Questo è il vero senso spirituale confermato dalla Bibbia e dal Corano. Chi vuole discutere in maniera fanatica, divide le fila dei credenti e ne porta intera la responsabilità davanti al Trono di Dio. Quanto a noi, impegnati sul «Retto Sentiero», abbiamo dimostrato, grazie alle Scritture, la vera intenzione divina e l’unità dell’Ispirazione biblico coranica, impiegando così «il migliore» degli argomenti che unisce le fila dei credenti.

La divinità del Messia

Nessuno immaginava che Dio si potesse abbassare al punto di assumere la natura umana, per apparire in questo mondo e parlare all’uomo che Egli aveva creato, sotto forma umana, come Lui. L’essere umano, preda dell’orgoglio, rifiuta spesso di credere che la Maestà divina si abbassi al livello dell’essere creato.

Cosa dice l’Ispirazione biblico coranica a proposito dell’incarnazione divina?

L’Antico Testamento prepara i credenti a questa verità in due tappe, gradatamente. Nella prima tappa, la Torah rivela la verità sull’esistenza del Dio Unico. Nella seconda tappa, Dio parla ai Profeti del Messia che Egli stava per mandare, presentandoLo con caratteristiche soprannaturali d’eccezione.

Nella prima tappa

Gli uomini prima della Bibbia, adoravano con paura e apprensione degli dei mitologici dittatori. La Bibbia ci presenta un Dio unico, tenero, misericordioso, che perdona i peccati di coloro che si pentono (Esodo 34,5-7). Egli è apparso parlando ad Abramo, a Mosé e ai Profeti, mentre gli uomini che adoravano gli idoli tremavano di paura davanti ai loro dei e si annientavano davanti a essi per manifestare la loro sottomissione. Nella Bibbia, invece, Dio insegna agli uomini ad amarLo come un padre che veglia sui propri figli; nello stesso modo insegna loro a temerLo solo se sono ingiusti:

«Yahvé, Yahvé, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di grazia e di fedeltà, che conserva il suo favore per mille generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato, ma non lascia senza punizione…» (Esodo 34,5-7)

Il Corano, a suo turno, conferma questa verità rivelando:

«Nel Nome di Dio misericordioso e compassionevole.» (Corano I; La Aprente il Libro,1)

Nella seconda tappa

Dio promette, nella Bibbia, d’inviare il Messia come Segno della Sua misericordia, per strappare l’uomo dall’inferno dell’ignoranza, del fanatismo, dell’egoismo e dell’orgoglio. Egli annunciò ai suoi profeti la venuta di un Messia umile, ma in questa umiltà risiede la sua grandezza. Dio ha attribuito al Messia dei nomi simbolici che rivelano la sua vera natura divina e la sua personalità umana eccezionale. Isaia (VIII secolo a.C) dice a proposito:

«Il Signore stesso vi darà un Segno. Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele.» (Isaia 7,14)

Il nome «Emmanuele» significa: «Dio con noi» (Matteo 1,23). Così, con il Messia, Dio stesso è con noi. Isaia attribuisce a questo bambino altri nomi eccezionali:

«Poiché un bambino ci è nato, un figlio ci è stato donato; nelle sue spalle riposa l’impero; e lo si chiama per nome: Consigliere meraviglioso, Dio Potente, Padre Perpetuo, Principe della Pace» (Isaia 9,5)

Dio non ha mai dato il nome di «Dio Potente» e di «Padre Perpetuo» a un altro profeta. Nessun uomo ragionevole oserebbe portare questi nomi. Al contrario, troviamo nel mondo arabo dei nomi come: Abdallah, che significa «Schiavo di Dio», Abdulmassih, «Schiavo del Messia», Abdulnabbi, «Schiavo del Profeta». Per mezzo dei nomi divini dati al Messia, nell’Antico Testamento Dio rivela la sua venuta nella Persona del Messia.

La necessità dell’incarnazione di Dio appare nel grido straziante che Isaia Gli rivolge, invitandoLo a venire Egli stesso sulla Terra:

«Ah! Se tu squarciassi i cieli e scendessi!» (Isaia 63,19)

Altre profezie, specialmente quella del profeta Michea (VIII secolo a.C.) annunciano la nascita del Messia a Betlemme. Michea predice anche che le sue origini sono eterne:

«E tu Betlemme di Efrata così piccola per essere fra i capoluoghi di Giuda, da te mi uscirà Colui che deve essere il dominatore in Israele; le sue origini sono dall’eternità, dai giorni più remoti.» (Michea 5,1)

Come fa il Messia, nato 750 anni dopo Michea, ad avere origini eterne? Questa profezia non fu compresa finché non si compì. In effetti, Gesù in una viva discussione con gli Ebrei, dichiarò:

«In verità, in verità vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono.» (Giovanni 8,58)

Noi sappiamo che Abramo ha preceduto il Messia sulla terra di duemila anni. Come dunque può affermare di esistere prima di Abramo, se non è, come dice Michea, perché le sue origini sono eterne? Questa eternità appare ugualmente quando Gesù, pregando apertamente davanti ai suoi Apostoli, dice a suo Padre:

«Io ti ho glorificato sopra la terra… E ora, Padre, glorificami davanti a Te , con quella gloria che avevo presso di Te prima che il mondo fosse» (Giovanni 17,4-5)

Il Messia si rivolge al Padre ad alta voce per insegnare con quale spirito bisogna rivolgersi a Dio: con tenerezza e delicatezza. Egli rivela ugualmente la sua essenza divina, Egli che esisteva presso Dio «prima che il mondo fosse». Nell’Ispirazione evangelica, molti versetti menzionano l’eternità dello Spirito del Messia, non del suo corpo umano che, certamente, come ogni carne, fu creato nel mondo.

Certuni si stupiscono dell’incarnazione divina e s’interrogano con una mentalità totalmente materialista: «Essendosi Dio incarnato nel Messia, come poteva, di fatto, dirigere il mondo e le stelle dal cielo!» Questa è una visione ingenua, puerile e ristretta dell’Onnipotenza di Dio. Dio non ha bisogno di allontanarsi dal cielo per apparire sulla terra.

Nella nostra epoca, questo fatto è più comprensibile che nel passato. La psicologia, infatti, ha scoperto le potenze sconosciute e insospettabili dello spirito umano. Un uomo spirituale può spostarsi con il suo spirito e apparire a migliaia di chilometri lontano dal suo corpo. Nello stesso modo, alcune persone possono controllare a distanza il pensiero altrui, ossia influenzare a distanza individui e collettività. Se tale è la potenza dello spirito umano creato, che non ha ancora scoperto tutte le sue facoltà, cosa possiamo dire dello Spirito Creatore, della cui Potenza non comprendiamo ancora l’estensione infinita? Dio può, infatti, incarnarsi sulla terra senza per questo lasciare il Cielo.

Tuttavia, quello che ci interessa nell’Ispirazione non è ciò che gli uomini dicono, ma ciò che Dio stesso ha rivelato ai suoi Profeti. Noi crediamo nel piano di Dio rivelato da Dio, anche quando questo è uno scandalo per coloro che hanno una fede materialista e uno spirito ottuso che gli impedisce di comprendere i disegni divini.

Cosa dice il Corano a proposito del Messia? Dice che Egli è il Verbo di Dio e il suo Spirito:

«Gli angeli dissero a Maria: ‘O Maria, Dio ti annunzia il Suo Verbo, il cui nome sarà il Messia, Gesù figlio di Maria’.» (Corano III; La Famiglia d’Imran,40)

Notate che il nome di questa Parola divina è «Gesù il Messia», vale a dire che il Messia è la Parola di Dio. Ora la Parola di Dio è continuamente con Lui, poiché é essenza divina, come è rivelato nel Vangelo di San Giovanni:

«In principio era il Verbo (la Parola), e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio… e il Verbo si fece carne.» (Giovanni 1,1-14)

Il Corano ci rivela che il Messia è anche lo Spirito di Dio:

«Il Messia Gesù, figlio di Maria, è l’Apostolo di Dio, il Suo Verbo, che Egli gettò in Maria, e uno Spirito proveniente da Lui.» (Corano IV; Le Donne, 169)

Dato che non possiamo separare la parola dalla persona, nello stesso modo non possiamo separarne lo spirito. La Parola di Dio è Dio stesso, lo Spirito di Dio è anche Egli Dio, è la Trinità divina riferita dall’Ispirazione evangelica.

Alcuni discutono su questi soggetti ricorrendo ad argomenti futili, dicendo, per esempio, che si trovano capi religiosi che portano il titolo di «Spirito di Dio» (Ruh Allah) senza avere, tuttavia, l’essenza divina. La risposta è che tradizioni umane hanno attribuito agli uomini tali titoli, l’Ispirazione divina non c’entra niente. I Libri celesti non hanno mai detto di un profeta, qualunque fosse la sua grandezza, che fosse la Parola o lo Spirito di Dio. Qui appare il deviazionismo delle tradizioni umane e noi lo denunciamo.
Dio ha impiegato i mezzi migliori per rivelare gradualmente agli Arabi la verità sulla natura del Messia, usando, secondo la sua abitudine, una saggia pedagogia. Chi desidera approfondire le verità ispirate, deve fare ricorso alla Bibbia. Deve leggerla armandosi dello Spirito di Dio, allo scopo di non interpretarla con uno spirito puramente umano o filosofico che celi le verità spirituali. L’importante non è la semplice lettura dei Libri ispirati, ma lo spirito col quale questi Libri celesti vengono letti.

Se il Corano non nega la divinità del Messia, come possiamo spiegare il seguente versetto?:

«Invero sono miscredenti quelli che dicono: ‘in verità Dio è il Messia, figlio di Maria’, poiché il Messia disse: ‘o figli di Israele, servite Dio, Signor mio e Signor vostro’; chiunque associ a Dio altre divinità, Dio gli interdirà l’entrata del paradiso e sua dimora sarà il fuoco e gli iniqui non avranno soccorritori.» (Corano V; La Tavola,76)

Il Corano prende di mira, qui, una certa categoria di Cristiani considerati come infedeli a causa delle loro ingiustizie. Notate che il versetto non dice: «Tutti coloro che dicono che Dio è il Messia sono miscredenti», ma «sono miscredenti quelli che dicono Dio è il Messia», bisogna sapere che i Cristiani erano conosciuti come coloro che dicevano «Dio è il Messia». La frase va così interpretata: «i Cristiani sono miscredenti» (o bestemmiano).

Ma perché sono miscredenti? È per avere detto che Dio è il Messia? Se tale fosse l’Intenzione divina, allora il versetto sarebbe stato ispirato in forma incontestabile, dissipando ogni malinteso, come: «Tutti coloro che dicono che Dio è il Messia, sono miscredenti» o ancora «quelli che dicono che il Messia è Dio bestemmiano».

Il Corano, però, non considera tutti i Cristiani come miscredenti. Al contrario, loda le virtù di molti Cristiani, pur sapendo che essi dicono: «Dio, è il Messia». Dio ispirò a Maometto anche i versetti seguenti:

«Troverai che quelli che sono più vicini per affetto a quelli che credono (nel Corano, i Mussulmani) sono coloro che dicono: ‘noi siamo cristiani’; ciò perché di essi alcuni sono preti e monaci, ed essi non sono orgogliosi.» (Corano V; La Tavola,85)

Si deve notare che questi preti e monaci credono che Dio è il Messia tuttavia il Corano li loda:

«Certamente quelli che credono, quelli che seguono la religione giudaica, i Cristiani e i Sabei, chiunque insomma creda in Dio e nel giorno estremo e abbia fatto del bene, avranno la mercede loro, presso il Signore, né alcun timore sarà su di loro, né si rattristeranno.» (Corano II; La Vacca,59)

«Quelli ai quali demmo il Libro (La Bibbia) prima di Esso (Il Corano), credono in quello, e quando viene loro recitato, dicono: ‘Noi crediamo in Esso; Esso, certamente, è la verità (che viene) da parte del nostro Signore, noi, invero eravamo mussulmani (sottomessi a Dio) già prima che Esso ci giungesse’. A quelli verrà data la loro mercede due volte, per ciò che furono costanti e respingono il male col bene, e di ciò che fornimmo loro, erogano in elemosina, e quando odono discorsi vani, se ne ritraggono.» (Corano XXVIII; La Storia,52-55)

Noi ne deduciamo che il Corano non condanna affatto globalmente tutti quelli che dicono: «Dio è il Messia» per aver detto queste parole. Altrimenti Dio avrebbe condannato in blocco tutti i Cristiani. L’intenzione reale di Dio in questi versetti era di condannare una categoria di cristiani che, per le loro cattive azioni, hanno bestemmiato e sono diventati miscredenti. Altri versetti coranici, dove Dio loda i Cristiani fedeli in merito alle loro buone azioni, appoggiano questa interpretazione. Egli li tranquillizza dicendo:

«Alcun timore sarà su di loro, né si rattristeranno. Alcuni di essi sono preti e monaci, ed essi non sono orgogliosi.» (Corano II; La Vacca,59 / Corano V; La Tavola,85)

Il Corano distingue tra due categorie di Cristiani: quella che segue il Retto Sentiero e quella che si smarrisce. Quest’ultima è accusata dal Corano, a ragione, di essere costituita da bestemmiatori.

Il Corano dice:

«Però tutti non sono uguali; sonvi, tra la gente del Libro, alcuni il cui animo è retto, che recitano i segni di Dio nelle ore della notte e si prostrano pregando; Essi credono in Dio e nel Giorno Estremo, ordinano ciò che è lodevole e proibiscono ciò che è riprovevole, e gareggiano di zelo nel fare le opere buone; quelli sono fra i buoni. Quel che fate di bene non vi sarà contestato, poiché Dio conosce quelli che lo temono.» (Corano III; La Famiglia d’Imran,109-111)

«Una parte della gente del Libro vorrebbe indurvi in errore, però essi non inducono in errore se non se stessi, senza avvedersene.» (Corano III; La Famiglia d’Imran,62)

«Tra la gente del Libro vi è alcuno che, se tu gli confidi un talento, te lo restituirebbe, e vi è alcun altro che, se tu gli confidi un dinar, non te lo restituirebbe, se non quando tu insistessi» (Corano III; La Famiglia d’Imran,68)

La distinzione fatta dal Corano fra le due categorie dei popoli del Libro risalta chiaramente da questi versetti. La categoria degli smarriti è denunciata dal Corano, non a motivo della loro credenza nella divinità del Messia, ma a causa delle loro cattive azioni, specialmente del furto delle sostanze altrui. Poiché il Corano loda una parte dei preti e dei monaci, mentre ne fustiga altri:

«O voi che credete, molti dottori e monaci consumano i beni altrui in cose vane (ingiustamente).» (Corano IX; Il Pentimento,34)

Ora «consumare i beni altrui ingiustamente» equivale, secondo l’Ispirazione evangelica, all’idolatria. Ugualmente, ogni cattiva azione viene considerata nel Vangelo come idolatria. Gesù, il Messia, ha detto:

«Nessuno può servire due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro, o preferirà l’uno e disprezzerà l’altro: Non potete servire a Dio e a mammona.» (Matteo 6,24)

Così, San Paolo dice:

«Perché, sappiatelo bene, nessun fornicatore, o impuro, o avaro, che è roba da idolatri, avrà parte al Regno di Cristo e di Dio.» (Efesini 5,5)

A dispetto di questo, molti Cristiani sostengono di appartenere al Messia, mentre non sono, in verità, che degli idolatri, avendo associato all’adorazione di Dio l’adorazione del denaro e dei piaceri.

Non è dunque strano che il Corano, dopo il Vangelo, denunci la categoria empia dei Cristiani che dicono che Dio è il Messia. Questi Cristiani sono dunque accusati d’idolatria a causa del loro amore per il denaro e il piacere, e non perché dicono che Dio è il Messia. Tale è la nostra interpretazione.

Sì, anche noi, insieme al Corano affermiamo: «Sono miscredenti coloro che dicono: Dio è il Messia». Tuttavia, noi siamo fra coloro che dicono che Dio è il Messia. Lo affermiamo senza inquietudine, confidando che «alcun timore sarà su di noi, né ci rattristeremo» (Corano II; La Vacca,59), sappiamo, infatti, che le nostre buone azioni ci classificheranno in mezzo ai benedetti, non in mezzo ai miscredenti.

Tuttavia e per essere ancor più chiari, noi affermiamo: «Sono miscredenti coloro che hanno detto che Maometto è il profeta di Dio». Però noi crediamo che Maometto è un degno Profeta di Dio. Speriamo di non essere cacciati a causa della nostre cattive azioni, in mezzo ai bestemmiatori. Molti di quelli che dicono che Maometto è il Profeta di Dio si sono, di fatti, allontanati dai principi e dai nobili comandamenti del Corano, respingendo lo spirito di apertura coranico. Essi sono schierati fra i miscredenti. Rimandiamo i nostri lettori a ciò che dicono il Profeta Maometto e lo Sheikh Mohammed Abdo, a questo proposito, nella nostra introduzione.

Allo stesso modo, noi diciamo: «Hanno bestemmiato coloro che dicono che Mosé è profeta di Dio». Tuttavia noi crediamo che Mosé è Profeta di Dio, ma denunciamo il sionismo e i suoi addetti criminali che dicono che Mosé è profeta di Dio.

L’incarnazione divina rispose a una necessità assoluta, viste le spesse tenebre in cui l’umanità era immersa. Gli stessi profeti non erano capaci di salvare l’uomo. Questa incapacità traspare dalle parole del profeta Isaia:

«Noi tutti eravamo sperduti…» (Isaia 53,6)

Solo Dio non si smarrisce. Egli solo è tale da liberare l’uomo dalle tenebre. Per questo:

«Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Giovanni 1,14)

Dio ha esaudito il grido straziante del profeta Isaia:

«Ah! Se Tu squarciassi i Cieli e scendessi!» (Isaia 63,19)

La crocifissione del Messia

La Bibbia, nell’Antico Testamento annuncia che il Messia sarà disprezzato e messo a morte dagli Ebrei. Il profeta Isaia (VIII secolo a.C.) aveva detto a proposito del Messia:

«Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia, era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima. Eppure Egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori e noi Lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato. Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di Lui; per le sue piaghe siamo stati guariti. Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada; il Signore fece ricadere su di Lui l’iniquità di noi tutti. Maltrattato si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca… Sì, fu eliminato dalla terra dei viventi, per l’iniquità del mio popolo fu percosso a morte. Gli si diede sepoltura con gli empi, con il ricco fu il suo tumulo, sebbene non avesse commesso violenza né vi fosse inganno nella sua bocca. Ma al Signore è piaciuto prostrarLo con dolori. Quando offrirà se stesso in espiazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà del Signore.» (Isaia 53,1-10)

Tale è la descrizione fatta dall’Antico Testamento del dramma del Messia e della sua condanna a morte, otto secoli prima che si compisse. Se oggi dovessimo descrivere le sofferenze del Messia, non ci riusciremmo meglio di Isaia.

Quale è il senso di questa profezia divina: «Egli è stato trafitto per i nostri delitti. Noi tutti eravamo sperduti?» Quali sono i delitti e da quale perdizione furono presi gli Ebrei? Si tratta del crimine del sionismo e del suo smarrimento. In effetti, lo spirito sionista s’infiltrò nel popolo ebraico di secolo in secolo e questo spirito fu condannato con forza dai profeti dell’Antico Testamento e dal Messia. «Noi tutti eravamo sperduti» ha detto il profeta Isaia, e questo smarrimento risiede nella politicizzazione del Giudaismo. Difatti, i Sionisti concepiscono il giudaismo come uno stato israeliano. Invece Dio lo desidera come fede e pentimento per tutta l’umanità. Ecco perché il Messia aveva dichiarato:

«Il Mio Regno (spirituale e universale) non è di questo mondo (politico e ristretto).» (Giovanni 18,36)

Gli Ebrei sionisti di oggi seguono i passi dei loro antenati e si smarriscono nell’illusione del sionismo. Dopo aver occupato la Palestina, la maggior parte degli Israeliani sogna ancora il Grande Israele, l’impero israeliano che si dovrebbe estendere dal Nilo all’Eufrate. Il dramma del Medio Oriente ha per causa il sionismo e riproduce nel XX secolo il dramma di Gesù, che denunciò il sionismo fino alla croce.

Il male sionista aveva colpito anche gli stessi Apostoli di Gesù. Essi attendevano, come tutti gli altri Ebrei, un Messia militare che avrebbe dovuto mettersi alla testa di un movimento sionista di liberazione, impegnandosi in una campagna espansionista violenta e armata contro i romani e i paesi vicini alla Palestina. Lo scopo di questo movimento messianico militare sarebbe stato la costituzione di un impero sionista. Questa è la ragione per la quale il Messia, invece di parlare loro di una gloria militare, li prepara gradualmente al pensiero della sua condanna a morte, sostituendo così una visione spirituale di salvezza alle loro ambizioni politiche e razziste.

Infatti, Gesù, dopo essersi assicurato che i suoi Apostoli credessero in Lui come Messia, rivelò loro il suo messianismo spirituale non politico con la sua messa a morte:

«Da allora Gesù cominciò a dire apertamente ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei sommi sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e resuscitare il terzo giorno.» (Matteo 16,21)

La reazione spontanea degli Apostoli fu di delusione; Pietro respinse questa visione non politica e si affrettò a dire:

«Dio te ne scampi, Signore; questo non ti accadrà mai.» (Matteo 16,22)

Il Messia, però, lo rimproverò e continuò a ripetere agli Apostoli che era necessario che Egli fosse crocifisso e messo a morte (Matteo 16,23 e Luca 9,22 / 9,44-45).

Lo spirito sionista aveva talmente invaso la mentalità ebraica, che gli Apostoli stessi provarono un’immensa difficoltà a liberarsene. Il Vangelo menziona che Gesù, anche dopo la sua morte e resurrezione, dovette apparire a due dei suoi discepoli per spiegare loro le profezie dell’Antico Testamento riguardanti le sue sofferenze. Egli disse loro:

«Sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti! Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria? E cominciando da Mosé e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a Lui» (Luca 24,25-27)

Il Messia è entrato nella sua gloria, gloria spirituale, non mondana né politica, attraverso la porta del martirio. Il martirio per la giustizia è agli occhi di Dio una gloria e una dignità, non una vergogna, come pensano alcuni. Il Messia non ha affatto disprezzato il martirio, e chiunque lo consideri come un atto vergognoso non è guidato dallo Spirito Santo di Dio. Gli Apostoli impiegarono molto tempo a comprendere questa maniera di pensare, alcuni avevano perfino vergogna di quello che San Paolo, nella sua lettera, chiama «lo scandalo della croce» (Galati 5,11).

Molti hanno disprezzato Gesù a causa della sua crocifissione. Gli Apostoli, invece, non si sono vergognati per il modo in cui Egli è morto, perché il Messia, dopo la sua resurrezione, ha spiegato loro il senso profondo della Croce. Essi allora hanno compreso l’intenzione di Dio e la sua sapienza e vi si sono sottomessi. San Paolo scrive nella sua prima lettera ai Corinzi:

«Noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani.» (1 Corinzi 1,23)

Dio ha voluto, con la morte del Messia, stabilire un criterio di fede per separare i veri credenti dai sionisti. Costoro si rifiutarono di seguirlo a causa del loro attaccamento alla politica e alla gloria temporale. Il Corano fa allusione a questi ultimi, che, dopo aver creduto in Gesù, come Messia sionista, rinunziarono a seguirlo dopo la sua morte, perché avevano compreso che Egli non avrebbe soddisfatto il loro sogno di dominio:

«E non vi sarà alcuno della Gente del Libro (degli Ebrei) che non stia per credere in lui (nel Messia), prima della sua morte, e, il giorno della Resurrezione, Egli sarà testimone contro di loro.» (Corano IV; Le Donne,157)

Questo versetto dimostra chiaramente che il Messia è stato veramente messo a morte.

Se tale fu l’atteggiamento del popolo della Bibbia, di ebrei, scribi e Farisei già iniziati alle profezie davanti alla morte del Cristo, come, a maggior ragione, Dio doveva preparare gli Arabi di quei tempi, incapaci di assimilare questo fatto della Croce? Gli Arabi dell’epoca preislamica non potevano concepire né accettare un Messia apparentemente sconfitto, appeso a una croce e messo a morte da uomini, gli Ebrei, supposti essere suoi testimoni.

Perché il Messia doveva essere messo a morte? Per abolire lo spirito sionista nella mentalità dei suoi seguaci. Essi, vedendo sulla croce Gesù, che avevano creduto essere il Messia politico, compresero che il sionismo era un errore e un’illusione alla quale bisognava definitivamente rinunciare.

Se il Messia non fosse stato crocifisso, i suoi discepoli non avrebbero compreso il loro errore e avrebbero continuato a domandargli di stabilire il regno sionista d’Israele. Per mezzo della croce, il Messia ha messo fine al concetto sionista.

Gesù è il Salvatore, perché Egli salva coloro che credono in Lui non solo dalle catene sioniste, ma anche da ogni simile ideale illusorio, da ogni mentalità materialista, anche se questa si nasconde sotto un’apparenza religiosa, come è il caso dell’Islam e del Cristianesimo politico e nazionalista. Ogni tentativo di politicizzare la religione, qualunque religione, è un altro sionismo mascherato sotto un altro nome. Il Vaticano, proclamandosi «Stato» nel 1929, simile agli altri stati, è caduto nella stessa trappola del sionismo.

Come abbiamo già menzionato, era impossibile per gli Arabi dei tempi preislamici comprendere il messaggio di un Messia in apparenza vinto. Per ciò il Corano, da buon pedagogo, presenta loro gradualmente le verità e i fatti evangelici. Bisogna anche tenere conto del fatto che a quell’epoca gli Arabi valutavano l’uomo per la sua forza fisica, la sua valenza e la sua bravura nel maneggiare la spada, non per qualità quali la tenerezza, l’umiltà e il martirio per la Giustizia.

Questa mentalità prevale ancora oggi in molte società; moltissimi non hanno imparato niente dall’Ispirazione divina e continuano a disprezzare gli umili e i miti, trattandoli da deboli. Simili comportamenti caratterizzano lo spirito sionista, vinto da Gesù su un’umile croce.

Il Corano ha preparato gli Arabi con molto tatto e finezza a comprendere la saggezza del martirio del Messia. Ciò può essere scoperto solo dal ricercatore diligente e bene intenzionato. Giacché il Corano dice degli Ebrei, condannandoli:

«Essi hanno violato il loro Patto, hanno rinnegato i Segni di Dio, hanno ucciso i profeti ingiustamente. Inoltre, per la loro miscredenza, per avere essi pronunziato, riguardo a Maria, una grave calunnia, e per avere essi detto: ‘in verità, noi uccidemmo, il Messia, Gesù figlio di Maria, l’Apostolo di Dio’, mentre non l’hanno ucciso, né l’hanno crocifisso, bensì la cosa fu resa dubbia ad essi… Bensì Dio lo elevò a Sè.» (Corano IV; Le Donne,154-156)

Alcuni credenti superficiali si affrettano a pensare che questi versetti coranici neghino la crocifissione e l’uccisione fisica del Messia. Trascinati dal loro entusiasmo, si lanciano in un attacco in regola contro il Vangelo, affermando che questo, poiché racconta che Gesù fu crocifisso, sia falsificato. Con le loro conclusioni affrettate, essi contraddicono il Corano, che dice di confermare il Vangelo. Prendendo le distanze, per consultare con calma e senza fanatismo il Corano, avrebbero scoperto che esso parla, in un altro versetto, della messa a morte del Messia.

Qui, appare l’importanza della ricerca dell’unità dell’Ispirazione e la necessità di un approfondimento dello studio coranico per raggiungere l’intenzione divina. Così, guidati da «un Libro luminoso», potremo evitare la trappola dell’interpretazione letterale, che allontana dall’intenzione divina. Il Corano stesso ci incoraggia a seguire questo itinerario con una dichiarazione franca sulla morte del Messia nella quale Gesù Bambino dice:

«E la pace sia su di me il giorno in cui nacqui, il giorno in cui morirò, e il giorno in cui sarò resuscitato a vita!» (Corano XIX; Maria,34)

Il Corano parla dunque della morte del Messia e della sua risurrezione, confermando in questo il Vangelo. Certi credenti superficiali pensano che questi versetti riguardino il ritorno del Messia alla fine dei tempi. È solo allora che il Messia sarà, secondo loro, messo a morte. L’Ispirazione divina non fornisce alcun fondamento a queste elucubrazioni. Noi non comprendiamo affatto le ragioni per cui questi «credenti» accettino l’idea della morte del Messia alla fine dei tempi, mentre la rifiutino nella sua prima venuta. Il Corano menziona ugualmente la morte del Messia anche nei versetti seguenti, in cui Gesù, parlando a Dio dopo la sua morte, dice a proposito degli Ebrei che rinunciarono a Gesù dopo la sua morte:

«Finché fui tra di loro, Io fui testimone contro di loro, e, quando Tu Mi facesti morire, fosti Tu testimone contro di loro, poiché Tu sei Testimone di ogni cosa.» (Corano V; La Tavola,117)

Abbiamo già visto che il Corano condanna la gente del Libro (gli Ebrei) che cessarono di credere in Gesù dopo la sua morte:

«E non vi sarà alcuno della Gente del Libro che non stia per credere in Lui (Gesù), prima della sua morte, e, il giorno della Resurrezione, Egli sarà testimone contro di loro.» (Corano IV; Le Donne,157)

La morte del Messia è anche riferita nel versetto seguente, che dice a proposito degli Ebrei increduli:

«I Giudei tesero inganni contro Gesù (per ucciderlo), però Dio ne tese pure contro di loro, e Dio è il migliore fra quelli che ne tendono. Rammenta quando Dio disse: O Gesù, Io, invero, Ti farò morire (moutawaffica), Ti eleverò fin presso di Me, Ti libererò da coloro che non credono (dagli Ebrei che ti rinnegano) e collocherò quelli (gli Ebrei credenti) che ti avranno seguito, al di sopra di quelli che non hanno creduto, fino al Giorno della Risurrezione.» (Corano III; La Famiglia d’Imran,47-48)

NB: La parola araba «moutawaffica» che significa «Ti farò morire», è tradotta male con «Ti richiamerò a Me». Ciò è falso. Infatti, questa parola significa un decesso fisico, una messa a morte corporale.
Come conciliare i versetti coranici dove Dio Stesso annuncia l’uccisione di Gesù e quelli dove Gesù Stesso dichiara la Sua morte, con il versetto del Corano IV; Le Donne,156 che dice:

«Non l’hanno ucciso, nè l’hanno crocifisso; bensì la cosa fu resa dubbia a essi.» (Corano IV; Le Donne,156)

L’Ispirazione coranica si contraddice? Certamente no!

Coloro che si fermano all’interpretazione letterale traballano e, come dice il Corano, a proposito di quelli che adorano Dio alla lettera:

«Essi cadono a faccia in giù perdendo la vita terrena e quella futura. Tale è la perdizione evidente.» (Corano XXII; Il Pellegrinaggio,11)

Noi, elevandoci al livello dell’Intenzione divina nell’Ispirazione, per comprendere secondo lo Spirito e non secondo la lettera, non vedremo, nel versetto 156 della sura Le Donne (Corano IV) una negazione della crocifissione e della morte fisica del Messia. L’Intenzione divina è di farci comprendere che gli Ebrei, mettendo a morte il Messia, non hanno messo fine al suo messaggio. «Bensì la cosa fu resa dubbia a essi» perché uccidendolo avrebbero potuto fare abortire la sua missione appena nata. Il suo messaggio, invece, dopo la sua morte, si è sparso come il fuoco fra la paglia, fino ai confini della terra.

Gli Ebrei temevano il messaggio di Gesù, opposto al sionismo, ancora più che la sua Persona. Ora ecco invece il suo messaggio, che essi avevano preso di mira uccidendoLo, si spande nel mondo, proprio a causa di questa crocifissione. Così Dio, «il migliore tra quelli che tendono inganni», ha trionfato sugli inganni degli Ebrei (Corano III; La Famiglia d’Imran,47-48).

Alcuni pensano che «l’inganno» di Dio sia stato più fine di quello degli Ebrei sionisti perché Egli ha elevato fin presso di Sé il Messia evitandoGli la morte. Questa interpretazione contraddice, però, l’Ispirazione biblico-coranica e perciò non possiamo accettarla. Noi crediamo che «l’inganno» di Dio abbia trionfato su quello dei non credenti perché la morte del Messia è stata la causa della disfatta del sionismo. Dio, dopo la morte del Messia, L’ha fatto resuscitare e ascendere a Sé, mentre gli Ebrei pensavano di averLo fatto precipitare nel più profondo dell’inferno. La vittoria divina sugli Ebrei non si arresta con l’elevazione del Messia: Il Creatore confonde ancora più gli Ebrei elevando eternamente al di sopra di essi, i discepoli del suo Messia:

«Quando Dio disse: O Gesù, Io collocherò quelli che ti avranno seguito (gli Ebrei credenti), al di sopra di quelli che non hanno creduto (gli Ebrei sionisti), fino al Giorno della Risurrezione» (Corano III; La Famiglia d’Imran,48)

Niente giustifica coloro che negano la crocifissione del Messia con il pretesto di glorificarLo: Il martirio per la causa di Dio non è una vergogna. Così, Dio risponde nel Corano a tutti quelli che pensano di glorificare il Messia negando la sua crocifissione:

«Rispondi loro (Maometto): Chi potrebbe opporsi minimamente a Dio, se Egli volesse annientare il Messia, figlio di Maria, e sua madre e tutti quelli che sono sulla terra?» (Corano V; La Tavola,19)

Ora, come abbiamo visto precedentemente, la Bibbia ci rivela tramite il profeta Isaia, otto secoli prima di Gesù, che Dio aveva già deciso di annientare il Messia:

«…Fu eliminato dalla terra dei viventi, per l’iniquità del mio popolo fu percosso a morte… Al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori.» (Isaia 53,8-10)

La nostra convinzione è ferma: Nessuno può arrestare il braccio di Dio che agisce secondo il suo piano e la sua sapienza, spesso incompresi dagli uomini. Dio ha veramente annientato fisicamente il Messia come era stato profetizzato nell’Antico Testamento e come il Messia stesso ha insegnato nel Vangelo. Il Corano non fa che certificarlo. Tuttavia, se Dio ha voluto annientare fisicamente il Messia, l’ha fatto allo scopo di glorificarLo spiritualmente ed eternamente. Ciò si realizzerà tramite la distruzione prossima e definitiva del sionismo incarnato oggi nello Stato d’Israele.

Credere che il Messia non sia stato messo a morte equivale a credere in un Messia politico e militare. Questa è un’altra forma di sionismo. Il Messia doveva passare attraverso la morte per cambiare la mentalità degli uomini di buona fede caduti nelle reti del materialismo.

In seguito a queste riflessioni, una conclusione semplice e veritiera s’impone: il credere nella crocifissione del Messia non contraddice il Corano quando i suoi versetti sono interpretati spiritualmente, secondo il nostro principio, valido per tutti i Libri ispirati. Viceversa, la negazione della crocifissione del Messia spinge gli interpreti del Corano a cercare spiegazioni contorte per adattarle ai versetti coranici che parlano della sua messa a morte. Essi finiscono con il contraddire il Vangelo, invece di confermarlo come vuole il Corano. Questo comportamento colpevole non è né «il Migliore dei Argomenti», né il «Retto Sentiero» prescritti dal Corano.

Morire martiri per Dio è una gloria infinita: Nessuno la potrà rapire al Messia Gesù, il Primo dei martiri. Chi coglierà questa verità cesserà di voler allontanare dal Messia la «vergogna» della croce. Morire per Dio, è vivere eternamente come rivela il Corano:

«Non dite, di coloro che furono uccisi combattendo nella via di Dio, che essi sono morti; poiché anzi essi sono vivi, però voi non ve ne avvedete.» (Corano II; La Vacca,149)

Il corano è logico con se stesso: non considera i martiri di Dio come morti, ma viventi. Perciò, dato che rispetta i propri principi, non si ferma alla condanna a morte del Messia, ma, come martire, Lo dichiara vivente in eterno. Gli Ebrei non l’hanno fatto morire, perché Dio, «il più fine degli astuti», L’ha fatto rivivere eternamente, ma essi «non lo capiscono». Il Corano dice anche, su questo punto:

«Né considerare quelli che sono stati uccisi nella via di Dio, come morti; no, essi sono vivi, presso il loro Signore, e sono ben mantenuti.» (Corano III; La Famiglia d’Imran,163)

Noi che crediamo nella crocifissione, morte e risurrezione del Messia, diciamo: «Il Messia è vivente, essi non L’hanno ucciso, non L’hanno crocifisso, ma questo è sembrato loro».

La falsificazione della Bibbia

Le prove coraniche dell’autenticità della Bibbia

Nel corso dei secoli, certi Ebrei hanno sparso la voce della falsificazione della Bibbia, e in particolare del Vangelo, ad opera dei Cristiani. Il loro scopo era di convincere che le profezie sulle quali si appoggiano i Cristiani per credere in Gesù come Messia fossero falsificate e che non esistessero nell’Antico Testamento, per lo meno nella forma presentata dai Cristiani. I Cristiani cioè avrebbero manipolato i testi biblici per adattarli a Gesù.

Molti hanno creduto a questa calunnia e l’hanno propagata fino ai nostri giorni, disprezzando così la Bibbia e in particolare il Vangelo. Certi Arabi arrivano al punto d’impedire che il Vangelo entri nei loro paesi e nelle loro case, mentre, paradossalmente, aprono le porte a libri e riviste immorali.

Sostenere che la Bibbia sia falsificata è un’eresia ispirata dal Diavolo che, come dice il Corano:

«Insinua il male nei cuori degli uomini.» (Corano CXIV; Gli Uomini,5)

Nel Corano non si trova nessun versetto che metta in guardia il credente dalle falsificazioni della Bibbia. Al contrario, il Corano dice che viene per certificare la Bibbia (Corano IV; Le Donne,50). Il Corano autenticherebbe forse un testo biblico falsificato?

Come potrebbe il Corano mettere in guardia contro la Bibbia, dato che l’Ispirazione è unica? Dio è Onnipotente per difendere la sua Ispirazione e non permette la falsificazione di un Libro che ha ispirato Egli stesso. Come potremmo, altrimenti, fare ricorso a un «Libro luminoso» che ci deve guidare nel Retto Sentiero? E che riferimenti avremmo? Chi diffama la Bibbia, sostenendo che è falsificata, diffama il Corano che ne certifica l’autenticità.

Una delle differenze fondamentali fra l’Ispirazione coranica e molti Mussulmani tradizionalisti risiede nel fatto che il Corano autentica la Bibbia mentre essi la calunniano. Il Corano dice:

«Quelli ai quali Noi (Dio) demmo il Libro (La Bibbia), Lo recitano come dev’essere recitato, quelli credono in esso; quelli invece che non credono in esso, quelli saranno i perditori.» (Corano II; La Vacca,115)

La spiegazione data da «Al-Jalalein» per l’espressione «Lo recitano come dev’essere recitato» è la seguente: «Ciò significa che lo leggono come Esso è stato ispirato». Noi adottiamo questa interpretazione corretta che ha il merito di esprimere l’Intenzione del Signore.

La testimonianza del Corano in favore dell’autenticità del Vecchio e del Nuovo Testamento rende inutile per noi ogni discussione. Noi ci domandiamo come certi possano sostenere di credere nel Corano, mentre affermano che la Bibbia sia falsificata. Calunniando la Bibbia essi dimostrano di non credere nel Corano, nonostante il Corano dica esplicitamente riguardo alla Bibbia che:

«Quelli invece che non credono in esso, quelli saranno i perditori.» (Corano II; La Vacca,115)

Il Corano, testimoniando il Vangelo, dice ancora:

«La gente del Vangelo giudichi quindi secondo ciò che Dio ha rivelato in esso, poiché quelli che non giudicano secondo ciò che Dio ha rivelato, quelli sono gli empi.» (Corano V; La Tavola,51)

Il Corano, dunque, incita le genti del Vangelo a giudicare in virtù di ciò che Dio ha ispirato in esso per guidarli, non è forse questa attestazione coranica in favore del Vangelo una testimonianza sicura della sua autenticità e del dovere di ricorrervi? Malgrado ciò, vi sono Ebrei, Mussulmani e Cristiani in gran numero che affermano il contrario. Quale sarà il giudizio di Dio su questi «empi», come li qualifica il Corano?

Coloro che sostengono che il Vangelo sia «falsificato» non manifestano certo una fede assoluta nel Corano, ma un cieco fanatismo. In realtà, quegli individui nascondono sotto una maschera il loro odio per ogni Ispirazione divina. La stessa osservazione vale per coloro che disprezzano il Corano sotto il pretesto di credere nel Vangelo.

Ogni Mussulmano che pensa che il Vangelo sia falsificato è contro il Corano. Ogni cristiano che combatte il Corano è contro lo spirito evangelico. Chiunque ha veramente compreso lo spirito del Vangelo non può che aderire al Corano.

Il Corano si appoggia incessantemente sulla Bibbia come su una referenza sicura e fedele. Infatti Dio consiglia a Maometto di rivolgersi ai lettori della Bibbia, se dubita delle parole divine che gli sono ispirate:

«Se tu sarai in dubbio riguardo a ciò che abbiamo rivelato a te, interroga quelli che leggono il Libro, inviato prima di te.» (Corano X; Giona,94)

Noi saremmo felici di vedere ogni Mussulmano mettere in pratica lo spirito del Corano e ogni Cristiano mettere in pratica lo spirito del Vangelo, al fine di spezzare le catene del fanatismo che conduce alla perdizione. Che ogni Mussulmano imiti dunque il Profeta dell’Islam che ha sempre riempito il suo cuore di espressioni di pietà e di rispetto per la Bibbia:

«Noi (Dio), invece, abbiamo rivelato il Pentateuco (Torah) in cui è guida e luce; i profeti che erano Muslim, giudicavano secondo esso… Sulle orme di essi facemmo camminare Gesù figlio di Maria, a conferma della Torah, rivelata prima di Lui, e Gli demmo il Vangelo, in cui è guida e luce, che è una conferma della Torah. La gente del Vangelo giudichi quindi secondo ciò che Dio ha rivelato in Esso» (Corano V; La Tavola,48-51)

C’è forse un solo versetto coranico che il credente nel Vangelo possa respingere con il pretesto che contrasti con il Vangelo? No. Non si trova nel Corano nessun versetto che contraddica il Vangelo e i suoi insegnamenti, a condizione tuttavia che l’interpretazione prenda in considerazione il «Migliore degli Argomenti», cioè quello che conferma il Vangelo e non quello che lo contraddice.

Ogni interpretazione coranica contraria al Vangelo è una falsa testimonianza rivolta contro il Corano. Noi siamo costernati davanti a quelli che presentano false interpretazioni coraniche e poi giustificano le loro affermazioni errate sostenendo che il Vangelo sia falsificato. Questa giustificazione è ancora più condannabile dello stesso errore. Il Corano stesso denuncia e giudica costoro.

Nello stesso modo, siamo costernati davanti a coloro che rifiutano il Corano con il pretesto che sia contrario al Vangelo. Quest’affermazione è falsa, giacché il Corano attesta il Vangelo e lo conferma. Perché, dunque, respingerlo con un falso pretesto? Non è, invece, più onesto e più semplice credere nel Corano, dato che esso testimonia in favore del Vangelo? Infatti il Corano dice ai popoli della Bibbia:

«O voi, ai quali è stato dato il Libro (la Bibbia), credete in ciò che abbiamo fatto scendere (il Corano) a conferma delle Scritture (la Bibbia) che sono presso di voi.» (Corano IV; Le Donne,50)

Per questo i popoli della Bibbia devono sforzarsi di cercare l’interpretazione coranica che confermi la Bibbia «che è presso di loro». Se agiranno con amore e saggezza, giungeranno a riunire le fila e a mettere fine all’odio confessionale.

Il Corano indirizza ugualmente i suoi comandamenti ai Mussulmani, dicendo:

«O voi che credete, credete in Dio, nel suo Apostolo (Maometto) e nel Libro che Dio ha fatto scendere al suo Apostolo (il Corano), e nel Libro che Egli ha fatto scendere precedentemente (la Bibbia); poiché chi non creda in Dio, nei suoi Angeli, nei suoi Libri (L’Antico, il Nuovo Testamento e il Corano), nei suoi Apostoli e nel Giorno Estremo, erra di errore grave.» (Corano IV; Le Donne,135)

Non appartiene a noi giudicare quelli che non credono nei Libri Santi dell’Antico e del Nuovo Testamento nel loro testo attuale, né a condannarli più fermamente di quanto abbia dichiarato Dio stesso nel Corano con la frase: «Errano di errore grave». Noi esortiamo dunque a credere nel testo attuale della Bibbia, perché è questo il testo che ha conosciuto il Profeta Maometto. L’Ispirazione divina nel Corano designa questo testo, perché le prove, anche scientifiche, della sua autenticità sono molteplici e distruggono ogni argomentazione contraria.

Non esiste, invece, nessuna prova scientifica della falsificazione della Bibbia. Se una persona convinta di questa falsificazione arriverà a presentare una prova scientifica di ciò che sostiene, gliene sarò molto grato e diventerò suo discepolo.

Le prove scientifiche dell’autenticità della Bibbia

Dio non ha ispirato la Bibbia per abbandonarla ai capricci e alle malizie degli uomini. Ecco le principali prove scientifiche, frutto dell’archeologia moderna, che insieme al Corano, attestano l’autenticità della Bibbia:

  1. I rotoli del «Mar Morto» scoperti nel 1947 a Qumran (vicino al Mar Morto) dimostrano l’autenticità dell’Antico Testamento. Gli studiosi hanno confrontato questi testi con quelli che noi attualmente possediamo e li hanno trovati identici. Questi testi del II secolo a.C., sono scritti su pelli di capra. Questi rotoli si trovano nel Museo Rockefeller di Gerusalemme. Altri musei internazionali hanno delle copie.
  2. Il papiro «Rylands», datato 125 d.C.; contiene una parte del capitolo 18 del Vangelo di San Giovanni. Esso concorda con il testo attuale.
  3. I papiri chiamati «Chester Beatty», contenenti molte parti del Nuovo Testamento, sono del III secolo d.C. Questo testo concorda ugualmente con l’attuale e si trova nel Museo del Michigan (U.S.A).
  4. La Bibbia detta «Vaticana» risalente al IV secolo d.C. contiene tutta la Bibbia in latino: si trova nel Museo del Vaticano.
  5. La Bibbia detta «Sinaitica», scoperta nel Convento di Santa Caterina sul monte Sinai, si trova nel British Museum. È la Bibbia in greco, risale anch’essa al IV secolo d.C.. Fu scoperta da un principe russo alla fine del XIX secolo.
  6. Una prova logica dell’autenticità della Bibbia: le molteplici confessioni cristiane hanno il medesimo testo biblico. Questo testo esiste in lingue differenti e concorda con i testi originali.
  7. Molti dotti Mussulmani negano che la Bibbia sia falsificata. I principali sono i due grandi cheikhs (defunti) ben conosciuti: Afghani e Mohammed Abdo.

Secondo una favola propagata da certi «credenti», il Vangelo sarebbe stato assunto in Cielo insieme al Messia e non si troverebbe più sulla terra. A queste persone noi rivolgiamo la seguente domanda: Quale parte di verità racchiudono questi discorsi, dato che il Corano dice di coloro che leggono la Bibbia «essi la recitano come dev’essere recitata?» Come potrebbero leggerla correttamente, se non si trovasse più sulla terra?

Queste elucubrazioni sono ancora più ridicole perché il Corano raccomanda alle genti del Vangelo di giudicare secondo ciò che Dio ha ispirato in esso. Può forse Dio, nel Corano, raccomandare di giudicare in base a un Libro che non esiste più?

Noi abbiamo dimostrato che il Corano è una lettura araba della Bibbia che, al tempo del paganesimo arabo, esisteva solo in tre lingue: l’ebraico, il greco e il latino. Questa è una prova inconfutabile, sostenuta dalle scoperte dell’archeologia moderna, della presenza sulla terra della Bibbia in quell’epoca. Dunque non era stata elevata in Cielo insieme al Messia! Le scoperte archeologiche già menzionate lo dimostrano.

La tradizione musulmana riporta ugualmente nelle «Nobili Discussioni» del Profeta Maometto un fatto d’importanza fondamentale.
[Queste discussioni (Hadith in arabo) sono riferite dallo studioso Bokhari.]

Dopo l’apparizione a Maometto dell’Angelo Gabriele che gli annunciava la sua missione, il Profeta fu turbato. Egli lasciò subito il suo luogo abituale di meditazione e raccontò il fatto a Kadigia, sua moglie. Per tranquillizzarlo, ella lo accompagnò direttamente a casa di Waraka Ibn Nofal, cugino di Kadigia e zio di Maometto. Bokhari informa che Waraka era uno scriba arabo convertito al cristianesimo, che redigeva «il Vangelo in ebraico». La Bibbia esisteva dunque «sulla Terra», ai tempi di Maometto, nella stessa penisola Araba.

Le prove scientifiche e scritturali presentate qui dimostrano l’autenticità della Bibbia. Manifestano da un lato l’abisso immenso fra le parole del Corano e del suo Profeta che concernono la Bibbia e dall’altro le calunnie di certi credenti tradizionalisti. Da parte nostra, prestiamo fede alla testimonianza del Corano e del suo Profeta in favore della Bibbia. E questa testimonianza ci basta.

Certuni credono che il Vangelo sia stato falsificato dopo l’Ispirazione coranica. Questo è il peggiore degli argomenti e rivela una cattiva fede. Noi abbiamo presentato delle prove scientifiche inconfutabili circa l’autenticità del testo evangelico di oggi, che è identico a quello ispirato nel passato prima di Maometto. Ed è in favore di questo medesimo testo che il Corano rende testimonianza.

Il «vangelo» di Barnaba

Molte persone in Oriente credono nello pseudo vangelo di Barnaba. Questo «vangelo» è una parodia della vita del Messia, accettata disgraziatamente da molti Mussulmani. Ogni Mussulmano degno di questo nome, però, non può fare a meno di rigettare questo «vangelo», per la semplice ragione che Gesù vi è presentato non come il Messia, ma come il predecessore del Messia. Secondo questo «vangelo» menzognero, il Messia sarebbe Maometto.
Ecco qui qualche estratto di questo «vangelo»:

«Il sacerdote disse a Gesù: Alzati Gesù, perché noi dobbiamo sapere di te chi tu sia; È scritto nel Libro di Mosé che Dio ci manderà il Messia che ci informerà riguardo la volontà di Dio. Per questo ti prego di dirci la verità. Sei tu il Messia che noi aspettiamo? Gesù rispose: É vero che Dio ci ha promesso questo, ma io non sono il Messia, perché egli é stato creato prima di me e verrà dopo di me.» (Capitolo 96,1-5)

Il capitolo 97,13-17 riporta allo stesso modo:
«Il sacerdote disse allora: E come si chiamerà il Messia? Gesù rispose: Il nome del Messia è ammirabile perché Dio stesso gli ha dato un nome quando creò la sua anima e lo pose in una beatitudine celeste. Dio disse: Aspetta, o Maometto! Il suo nome benedetto è Maometto.»

Questi versetti sono in flagrante contraddizione con l’Ispirazione divina che è nel Vangelo e nel Corano, che testimoniano entrambi che Gesù è veramente il Messia.

Inoltre, Maometto non ha mai preteso di essere il Messia, né ha detto che Gesù non lo fosse. Non ha mai dichiarato di essere stato creato prima di Gesù. Gli insegnamenti del Corano sono contrari alle volgari mistificazioni del «vangelo» di Barnaba e confermano che Gesù è il vero Messia di Dio.

Lo scopo degli autori di questo «vangelo», che nasconde male la mano sionista, era di suscitare una separazione fra Cristiani e Mussulmani, applicando il principio del «dividere per regnare». Essi hanno giocato sull’affetto dei Mussulmani per Maometto, presentandolo più grande di Gesù. I credenti superficiali sono caduti ciecamente in questa trappola senza cogliere il fondo del problema. Non hanno realizzato che, negando il messianismo di Gesù e attribuendolo a Maometto, si sono trasformati in testimoni avversi al messaggio coranico al quale invece pretendono tuttavia appartenere.

Il Corano parla forse di falsificazione?

I propagatori delle voci della falsificazione della Bibbia si appoggiano su alcuni versetti coranici. Essi dimenticano che il Corano si presenta come testimone della Bibbia. Noi menzioneremo alcuni versetti coranici ai quali si riferiscono gli adepti della falsificazione e dimostreremo che l’intenzione del Corano è denunciare coloro che falsificano l’interpretazione dei versetti biblici. Il Corano non denuncia i versetti biblici, ma la mala fede degli interpreti. Il Corano dice:

«Desiderate voi, o Mussulmani, che i Giudei divengano credenti per piacere a voi? Un certo numero di essi stettero ad ascoltare la Parola di Dio (nella Bibbia); però dopo averla compresa, l’alterarono scientemente.» (Corano II; La Vacca,70)

«Quelli ai quali demmo il Libro (la Bibbia), conoscono lui come conoscono i propri figli; però, invero, alcuni di essi tengono celata la verità, benché essi bene la conoscano.» (Corano II; La Vacca,141)

Questi interpreti malintenzionati alterarono scientemente, con piena coscienza di causa, il senso dei versetti biblici, «dopo averli compresi». Si è trattata di una falsificazione dell’interpretazione della Parola di Dio. Altrove il Corano rivela anche:

«Invero, alcuni di essi contorcono le parole del Libro con le lingue loro, perché voi crediate che esso faccia parte del Libro; esso invece non fa parte del Libro. Essi dicono: ‘Ciò viene da Dio’, mentre non viene da Dio, e dicono, scientemente, una menzogna contro Dio.» (Corano III; La Famiglia d’Imran,72)

Notate che quelle persone «contorcono con le loro lingue», essi non falsificano i testi biblici. «Contorcendo con le loro lingue», presentano delle interpretazioni false, che fanno comodo a loro, per far credere che ciò che dicono venga da Dio, «mentre non viene da Dio».

Tale è la nostra interpretazione dei versetti sopra citati, versetti che gente malintenzionata vuole «contorcere» per calunniare il Vangelo. Il Corano accusa specialmente gli Ebrei di aver fatto ricorso a questo genere di pratica:

«Di coloro che sono Giudei, alcuni alterano il significato delle Parole delle Scritture…» (Corano IV; Le Donne,48)

«Quelli che alterano il significato delle Parole delle Scritture», le deviano dal significato voluto da Dio, presentandone una falsa interpretazione. Il Corano dice ancora a questo proposito:

«Siccome però essi (gli Ebrei) hanno violato il loro patto, li abbiamo maledetti, abbiamo reso duri i loro cuori, sì che essi alterano le Parole delle loro Scritture spostandole dai loro luoghi, e dimenticarono una parte di quanto fu loro comunicato.» (Corano V; La Tavola,16)

È chiaro che «l’alterazione della Parola» mira, qui, alla falsa interpretazione dell’Intenzione divina.

Il Corano, però, non è il solo a denunciare gli scribi ebrei. Nell’Antico Testamento, il profeta Geremia era già insorto contro di loro per la medesima ragione:

«Come potete dire: Noi siamo saggi, la Legge del Signore è con noi? A menzogna l’ha ridotta la penna menzognera degli scribi!» (Geremia 8,8)

È importante meditare queste parole ispirate di Geremia per raggiungere l’Intenzione divina che vi è rivelata: smascherare gli scribi ebrei che sfigurano il messaggio biblico con la loro falsa interpretazione.

Noi abbiamo dimostrato che il testo biblico è autentico. Il testo attualmente nelle nostre mani corrisponde perfettamente al testo conosciuto prima del Messia. Questo testo è confermato dai Rotoli del «Mar Morto». Questo è il testo che hanno conosciuto il Messia e il Profeta Maometto. Nessuna falsificazione vi si trova. Nessuna mano umana può falsificarlo, perché Dio, nella sua infinita Sapienza, vuole che il testo intero dell’Ispirazione divina arrivi fino a noi. La ragione è che Dio vuole informarci del suo piano di salvezza in favore dell’umanità intera, così come dell’influenza nefasta dello spirito sionista sui capi e sugli scribi giudei.

Gli scribi, in effetti, trascrivendo la Bibbia, hanno aggiunto, in favore del piano sionista, molti testi falsamente attribuiti a Dio, come ha ben sottolineato il Corano. Questi testi si trovano ancora oggi nella Bibbia. Dio, nella sua Sapienza, ha permesso che vi rimanessero per rivelare la mano sionista che li ha introdotti allo scopo di giustificare, nel nome di Dio, tradizioni umane non volute da Dio. Questi versetti sono altrettanti parassiti facilmente individuabili da ogni persona preparata.

Gesù non ha mancato di denunciare questi scribi e questi farisei «ipocriti»:

«Perché voi trasgredite il comandamento di Dio in nome della vostra tradizione?… Così avete annullato la Parola di Dio in nome della vostra tradizione. Ipocriti! Bene ha profetato di voi Isaia, dicendo: Questo popolo mi onora con le labbra ma il suo cuore è lontano da me. Invano essi mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini.» (Matteo 15,3-9)

Bisogna dunque sottolineare che la Bibbia stessa ci invita a discernere fra l’Ispirazione divina e l’ispirazione sionista che vi si trovano. Il credente non si deve allontanare dalla Bibbia a causa di questa infiltrazione sionista. Al contrario, questo stato di fatto deve incitare i cuori forti e valorosi a scrutare la Bibbia al fine di estrarne i tesori a dispetto degli impedimenti. È così che agirono Geremia, Gesù e Maometto.

Del resto, il rispetto del Profeta Maometto verso la Bibbia è una garanzia supplementare e sufficiente per tutti i Mussulmani che vogliano ricorrervi. Giacché Dio dice a Maometto, nel Corano:

«Dì (agli Arabi che disprezzavano la Bibbia): portate allora un libro da parte di Dio, il quale sia una guida migliore di Quei Due (la Torah e il Vangelo), sì che io lo segua, se siete veritieri» (Corano XXVIII; La Storia,49)

Quale migliore testimonianza in favore della Bibbia si può domandare a questo nobile profeta arabo? È chiaro che nella mentalità del Profeta dell’Islam, la Bibbia è davvero ispirata da Dio. Noi vogliamo precisare: La Bibbia nel suo testo attuale è proprio quel testo che Maometto aveva conosciuto.

Nel versetto citato sopra, Dio fa di Maometto l’Apostolo, non solo del Corano, ma anche della Bibbia, essendo il Corano un’Ispirazione araba della Bibbia. Questa è la ragione per cui Dio, nel Corano, chiede a Maometto di non esigere dai popoli della Bibbia di fare ricorso a lui come giudice, perché essi hanno la parola di Dio nella Bibbia:

«Però, come ti prenderebbero essi per giudice, mentre hanno la Bibbia, in cui è il giudizio di Dio…» (Corano V; La Tavola, 47)

«La gente del Vangelo giudichi quindi secondo ciò che Dio ha rivelato in esso, poiché quelli che non giudicano secondo ciò che Dio ha rivelato, quelli sono gli empi.» (Corano V; La Tavola,51)

Il profeta Maometto invita tutti i credenti arabi a seguire la via «di coloro che li hanno preceduti» nella fede, gli Ebrei e i Cristiani fedeli maturati nelle Acque spirituali della Bibbia. Il Corano dice:

«Vuole Dio manifestare a voi chiaramente la sua volontà, per le vie di coloro, i quali furono prima di voi…» (Corano IV; Le Donne,31)

«O voi che credete (Arabi), credete in Dio, nel suo Apostolo (Maometto) e nel Libro (il Corano) che Dio ha fatto scendere al suo Apostolo e nel Libro (Bibbia) che Egli ha fatto scendere precedentemente; poiché chi non creda in Dio, nei suoi Angeli, nei suoi Libri, nei suoi Apostoli e nel Giorno Estremo, erra di errore grave.» (Corano IV; Le Donne,135)

Tale è il comandamento del Corano: credere non solamente a Maometto e al Corano, ma anche alle Scritture ispirate da Dio prima del Corano: la Torah e il Vangelo nel loro testo attuale. Ogni vero credente, Giudeo, Cristiano o Mussulmano, non può che credere nella totalità dell’Ispirazione biblico-coranica.

Che Dio Onnipotente riunisca gli eletti, tutti i cuori sinceri, tutti gli uomini di buona fede, intorno alla Sua Ispirazione, unica e indivisibile, affinché essi formino una sola comunità di fronte alle potenze del male che cercano di frammentarla.

La vita del Profeta Maometto

Certi orientalisti rimproverano al Profeta Maometto la molteplicità delle sue mogli e il gran numero delle sue guerre. Noi vogliamo esporre le ragioni che giustificano questi comportamenti che, nella nostra epoca, appaiono inaccettabili e incompatibili con un profeta.

I matrimoni di Maometto

Uno dei rimproveri concerne il matrimonio di Maometto con Zaynab, figlia di Jahsh. Zaynab era la moglie di Zayd, il figlio adottivo di Maometto. Dopo il suo divorzio, Maometto ha dovuto sposarla. I Mussulmani non fanno alcuno sforzo per presentare la spiegazione migliore di questo matrimonio. Quella che noi daremo più avanti si adatta perfettamente al carattere e alla vita integra del Profeta Maometto. In effetti, certe interpretazioni islamiche ufficiali di questo matrimonio hanno per conseguenza l’allontanamento degli orientalisti, e di molti Cristiani, dal Corano e dal Profeta Maometto. I dotti Mussulmani l’interpretano così: «Dopo il matrimonio di Zaynab con Zayd, lo sguardo del Profeta si arrestò su Zaynab e l’amore per lei invase il suo cuore».

Questa spiegazione non è né certa, né definitiva: essa é frutto di una mentalità particolare degli interpreti arabi dell’epoca. Ora, la ricerca nel campo dell’interpretazione resta aperta. Questo tipo di ricerca è conosciuta nell’Islam sotto il nome di «Ijtihad» che significa «sforzo», perché si tratta di sforzarsi, come prescrive il Corano, di cercare la migliore interpretazione. È quello che noi abbiamo fatto e pensiamo di averla trovata. In seguito la spiegheremo, dopo avere esposto brevemente la vita del Profeta.

Maometto è nato nell’anno 570 della nostra era, a La Mecca. È morto l’otto giugno del 632. Suo padre, Abdallah, morì qualche mese prima della sua nascita e sua madre, Aména, morì quando egli aveva circa cinque anni. Orfano, fu preso in carico da suo nonno, Abd-El-Mutalleb. Quest’ultimo morì tre anni dopo, lasciandolo alle cure di suo figlio, Abi-Taleb, zio paterno di Maometto, che l’amava molto per la rettitudine dei suoi costumi. Abi-Taleb era padre di Alì, il cugino prediletto di Maometto e suo fedele amico per tutta la vita. Alì sposò poi Fatima, figlia prediletta di Maometto. Abd-El-Mutalleb, nonno di Maometto, era un notabile della famiglia di Bani-Hashim della tribù di Quraish di La Mecca. Aveva dieci figli, fra cui Abdallah (padre di Maometto), Abi-Taleb (lo zio che lo ospitò e lo adottò), Hamza (che credette in Maometto), Abu-Lahab (che lo combatté).
Aména, la madre di Maometto, era la sorella di Waraka-Ibn-Nofal, del quale abbiamo già parlato. Quest’ultimo era cugino di Khadija, la prima moglie di Maometto. Maometto passò la sua giovinezza a La Mecca e fu conosciuto per la sua integrità, la sua castità e la rettitudine dei suoi costumi. Amava l’isolamento e la meditazione e non condivideva con gli altri giovani della sua età il gusto per la vita mondana. Gli abitanti di La Mecca lo chiamavano «l’Onesto», (in arabo: «El Amin») a causa della sua fedeltà e della sua onestà. Il suo amore per la preghiera e la meditazione lo conducevano spesso nelle grotte delle montagne sovrastanti La Mecca, dove egli fuggiva il tumulto della città per approfondire la ricerca della spiritualità.

Ciò non gli impediva, però, di partecipare alla vita commerciale di La Mecca. Si occupava delle carovane dei mercanti che transitavano fra lo Yemen e la Siria. Maometto era impiegato presso sua cugina Kadigia, vedova di un ricco commerciante meccano, che si occupava delle carovane dirette in Siria, per il commercio. Ella fu attirata dalla sua onestà senza cedimenti e gli mandò Abi-Taleb (lo zio di Maometto che l’ospitava) per parlagli di matrimonio. Maometto accettò. Aveva allora 25 anni e Kadigia ne aveva 40.

Il loro matrimonio fu felice fino alla fine. Essi ebbero tre figli, morti in tenera età e quattro figlie: Rokaya, Zeinab, Om-Kalthoum e Fatima, la favorita di Maometto.

Durante i suoi numerosi viaggi in Siria, Maometto conobbe molti monaci cristiani, fra cui il famoso monaco Bohaira al quale Maometto si legò con una profonda amicizia. Bohaira aveva ammirato l’alta moralità di Maometto e gli parlava spesso dei profeti e del Messia. Così Dio preparava già Maometto, a sua insaputa, a una grande missione.

Quando l’anima di Maometto fu resa matura dalla contemplazione, all’età di 40 anni, il Cielo gli si manifestò. L’Angelo Gabriele gli apparve mentre stava in solitudine in una grotta presso La Mecca chiamata «Harraa». Il Profeta, terminata la visione, corse inquieto dalla sua sposa Kadigia e le raccontò il fatto. Questi versetti si trovano in Corano XCVI; Il grumo di Sangue,1-3. Noi riproduciamo qui la storia così come l’ha raccontata Bokhari:

«Gabriele si presentò a me e mi disse: Leggi (la Bibbia)! Io risposi: Non so leggere (Maometto era analfabeta). L’Angelo mi prese e mi tenne coperto finché ritrovai la calma, poi mi disse. Leggi! Io risposi: Non so leggere. Egli mi prese, mi coprì una seconda volta finché non ritrovai la calma e mi disse: Leggi! Io risposi: Non so leggere. Egli mi coprì una terza volta e mi lasciò andare dicendo: Leggi, in nome del tuo Dio che ha creato. Egli creò l’uomo dal sangue coagulato. Leggi, poiché Dio è generoso. E il Profeta tornò con queste parole impresse dentro di sé e con il cuore tremante da Kadigia figlia di Khowaylid e le riferì tutto ciò che era successo. Le disse: Ho avuto paura per la mia persona.»

Questa fu la prima visione di Maometto. Egli tremò come avevano tremato prima di lui Mosé, Geremia, Daniele ed altri profeti. Kadigia decise di andare con Maometto a casa di Waraka-Ibn-Nofal, suo cugino, che era Cristiano e trascriveva testi biblici. Waraka lo tranquillizzò dicendogli che questo corrispondeva al messaggio di Mosè, al messaggio biblico. Bokhari racconta la storia così:

«Maometto si recò dunque con Kadigia a casa di Waraka-Ibn-Nofal che era divenuto vecchio e cieco. Kadigia gli disse: Cugino ascolta ciò che tuo nipote (Maometto) desidera comunicarti. Waraka gli disse: Nipote mio, cosa c’è? Il Profeta allora lo informò della sua visione. Waraka gli disse: Ma è la Legge di Mosè che Dio ha fatto discendere su di te. Ah! Perché non posso restare in vita per partecipare a questa missione. Perché non posso rimanere in vita quando il popolo ti rinnegherà. E il profeta Maometto esclamò: Mi rinnegherà? Egli rispose: Sì, nessun uomo può donare ciò che tu stai per donare senza avere dei nemici. Se ciò mi sarà concesso, io ti sosterrò fino alla tua vittoria. Waraka non tardò a morire.»

Così, Waraka confermò l’autenticità della visione e gli certificò che il suo messaggio era biblico. Il messaggio è dunque uno e la missione è la medesima. È importante che ciò sia messo in rilievo. La profezia di Waraka si compì, perché gli abitanti di La Mecca, la cui tribù principale era la tribù di Quraish, combatterono ferocemente il Profeta.

Da principio, e per molto tempo, solo un piccolo gruppo aveva creduto in Maometto. Kadigia, sua moglie, fu la prima dei credenti. La nuova religione che cominciava a sorgere a La Mecca inquietò i mercanti di idoli e i potenti della città, che esigevano tasse e approfittavano dei pellegrinaggi pagani che vi giungevano. La fede monoteista rappresentava un gran danno per il loro commercio, il loro potere e la loro egemonia. Essi si trasformarono perciò in nemici giurati di Maometto e dei suoi discepoli e li perseguitarono fortemente.

Il Profeta sopportò coraggiosamente i pesi dolorosi della sua missione e seppe pazientare, benché ciò gli costasse denaro e fatica. Rifiutò di opporsi con le armi ai suoi nemici armati, astenendosi perfino dal portare una spada per difendersi. Consigliò ai suoi discepoli di fuggire da La Mecca e di trasferirsi in Etiopia, paese cristiano. Dodici dei suoi discepoli si recarono dal Negus, l’imperatore d’Etiopia, che li accolse concedendo loro il diritto di rifugio e assicurandogli un soggiorno tranquillo.

Per dieci anni Maometto sopportò la persecuzione a La Mecca, predicandovi invano il monoteismo e non avendo intorno a sé che un numero ristretto di fedeli. L’opposizione della tribù Quraish aumentava con violenza al punto da minacciare la vita di Maometto e dei suoi discepoli. Ci fu più di un attentato contro la sua vita. Maometto dovette in fine rassegnarsi a fuggire da La Mecca, si recò a Yathreb che in seguito prese il nome di «Al Medina», che in arabo significa «La Città», cioè La Città del Profeta.

Maometto aveva lasciato La Mecca segretamente, di notte, essendo stato avvertito di una cospirazione contro di lui ordita per ucciderlo. Quella medesima notte, Alì, suo cugino, si era sostituito a lui in casa e perfino nel letto, per simulare la sua presenza, salvandogli così la vita. In questa città, numerosi seguaci lo proteggevano, solo gli Ebrei di Yathreb costituivano un minaccia per lui.

Prima della fuga a Yathreb, due avvenimenti dolorosi colpirono Maometto: la morte dello zio che lo aveva protetto, Abu-Taleb (questo precipitò la cospirazione contro di lui), e quella della cara moglie Khadigia, compagna fedele della sua vita, della sua missione. Ella era il suo appoggio spirituale, l’aveva rafforzato nella sua fede e gli aveva dato fiducia in se stesso. L’anno della morte di queste due persone care a Maometto fu detto «l’Anno della Tristezza».

La gente della tribù di Quraish, spinta dal notabile Abi-Sifian, tentò di corrompere Maometto. Essi mandarono una delegazione a suo zio Abi-Taleb, poco prima che morisse, quando era già a letto malato, per ottenere il suo intervento presso il nipote. Essi proposero a Maometto denaro, gloria e perfino la corona reale, a condizione che rinunciasse al monoteismo. Gli dissero: «Se la tua intenzione nella predicazione è il denaro, noi te lo daremo: metteremo insieme il nostro denaro, in modo che tu sia il più ricco fra noi. Se desideri l’onore, ti eleggeremo come capo e niente si farà senza il tuo consenso. Se vuoi il regno, ti faremo nostro re, ma quanto al Dio unico: No!»

Ascoltando queste parole, il Profeta si attaccò ancora di più alla sua missione e disse: «Per Dio, anche se mi date il sole nella mano destra e la luna nella sinistra per farmi rinunciare a questo compito io non vi rinuncerei». Con la morte di suo zio Abi-Taleb, che cercava di mitigare le questioni fra la gente della tribù di Quraish e Maometto, la tensione arrivò all’apice.

Poco prima della sua fuga a Yathreb, Maometto visse il miracolo del Viaggio Mistico riferito nella sura XVII, chiamata «Il Viaggio Notturno». Quest’esperienza mistica e storica é molto importante nella vita di Maometto e dei suoi discepoli; costituisce il crocevia della sua missione. In quella notte, Maometto era in casa di sua cugina Hind, sorella di Alì, figlio di Abi-Taleb. Egli vide l’Angelo Gabriele presentarsi a lui per portarlo in visione su un cavallo chiamato «Al Boraq» (il fulmine) sul monte Sinai, là dove Dio parlò a Mosé. Poi lo portò a Betlemme, culla del Messia e poi a Gerusalemme, nel luogo del Tempio. Da lì lo innalzò al Cielo, poi lo riportò a Gerusalemme, dove egli riprese il suo cavallo, per tornare nella casa di sua cugina Hind. La sura incomincia così:

«Lode a Colui il quale trasportò il suo servo, di notte, dal sacro tempio di La Mecca, al tempio più remoto di Gerusalemme; del quale benedicemmo il recinto per mostrare a lui alcuni dei nostri segni.» (Corano XVII; Il Viaggio Notturno,1)

Gli abitanti di Quraish si rifiutarono di credere a questa visione. Perfino molti dei suoi discepoli rifiutarono di prestargli fede e rinunciarono a seguirlo. Dopo questa esperienza, l’animosità a La Mecca aumentò ancora nei suoi riguardi e l’isolamento del Profeta divenne quasi totale. Il 24 Settembre 622, Maometto decise di fuggire da La Mecca per andare a Yathreb. Questa fuga segnò l’inizio del calendario dell’Egira (da hijra = partenza, fuga, emigrazione).
Dopo la sua partenza, Maometto prese molte mogli, non per amore delle donne, come pensano molti orientalisti, ma per unificare le tribù arabe con legami di parentela. La prima sposa di Maometto fu Sawda, vedova di uno dei suoi dodici discepoli partito per l’Etiopia su richiesta di Maometto, per fuggire alla persecuzione. Sawda non era più giovane ed era madre di parecchi bambini. Maometto la sposò per riconoscenza, per proteggerla e per aiutarla a mantenere i bambini, perché ella e suo marito erano stati fra i suoi primi discepoli.

Sposò ugualmente anche Aysha, la figlia di uno dei suoi primi discepoli, Abu-Bakr, per rinforzare i legami con quest’amico intimo e fedele. Aysha non aveva che sette anni, ma rimase nella casa di suo padre due anni, prima di far parte della casa del Profeta. È durante questi due anni che sposò Sawda. Maometto sposò anche Hafsa, figlia di Omar Ibn-El-Khattab, il secondo dei quattro Califfi che gli succedettero dopo la morte.

Sempre per la preoccupazione di unificare le tribù arabe, il Profeta diede in matrimonio le sue figlie a uomini scelti. Osman-Ibn-Hafan, uno dei suoi fedeli discepoli, che divenne il terzo Califfo, sposò le sue figlie Rokaya e Om-Kalthoum. Alì, suo cugino, sposò Fatima, la figlia prediletta di Maometto. Egli poi diede sua figlia Zeinab in matrimonio a Khaled-Ibn-El-Walid, uno degli ufficiali nemici, che l’aveva vinto nella battaglia di Uhud, ma che in seguito divenne credente. Maometto a sua volta sposò la zia di Khaled per rinforzare, per mezzo di legami matrimoniali, la comunità dei primi credenti. Maometto sposò inoltre due donne di una certa età, Zaynab e Salma, perché erano vedove di due martiri caduti in combattimento.

Quanto al matrimonio di Maometto con Zaynab, figlia di Jahsh, che prima era stata sposa del suo figlio adottivo Zayd, gli interpreti mussulmani, a nostro avviso, fanno un errore presentando questo fatto come legame d’amore umano.

Noi citiamo qui i versetti coranici su questo argomento, aggiungendo il commento di «Jalalein», interpretazione ufficiale e generalmente ammessa che noi disapproviamo. Poi presentiamo la nostra interpretazione che dimostra la nobiltà dell’intenzione del Profeta nello sposare Zaynab. Il Corano dice a questo proposito:

«Non conviene a un credente o ad una credente, quando Dio e il suo apostolo abbiano decretato qualcosa, che essi abbiano libertà di scelta, per proprio conto; e chi disubbidisce a Dio e al suo apostolo, erra di un errore evidente.» (Corano XXXIII; I Confederati,36)

Interpretazione di «Jalalein»:

Questo versetto è stato ispirato a proposito di Abdallah-Ibn-Jahsh e di sua sorella Zaynab. Il Profeta aveva intenzione di dare Zaynab come sposa a suo figlio adottivo Zayd. Quando, però, arrivarono a casa del Profeta, Abdallah e Zaynab furono delusi apprendendo l’intenzione di Maometto, perché avevano creduto che egli stesso volesse sposare Zaynab e non che volesse darla a suo figlio adottivo. Tuttavia, si sottomisero al giudizio del Profeta, dopo che gli fu ispirato questo versetto: «Chi disubbidisce a Dio e al suo apostolo, erra di un errore evidente».

Il Profeta diede Zaynab in sposa a Zayd, ma in seguito il suo sguardo si fermò su di lei e il suo cuore s’infiammò d’amore per lei e Zayd la prese in odio. Egli disse al Profeta: «Voglio divorziare da lei». Il Profeta gli rispose: «Conserva la tua sposa presso di te».

Nostra interpretazione:

Il profeta Maometto non provò un amore passionale per Zaynab. Per questo, non volle che Zayd divorziasse, tanto più che Maometto stesso aveva invitato Zaynab e suo fratello alla celebrazione del matrimonio di Zaynab con Zayd. Questo matrimonio ebbe luogo, nonostante l’obiezione iniziale di Zaynab e di suo fratello. Accettarono solo dopo l’ispirazione del profeta. In seguito, l’intenzione di divorziare di Zayd metteva il Profeta in un evidente imbarazzo ed esponeva Zaynab al disonore e all’infamia. La gente avrebbe detto: «Il figlio del Profeta l’ha ripudiata». Era come metterla al bando dalla società con la conseguenza di un’inimicizia fra Maometto e tutta la parentela della famiglia Jahsh. Non restava a Maometto che una via di uscita: sposare, a malincuore, Zaynab, affinché si dicesse: «Maometto l’ha sposata». Era un modo per elevarla di dignità invece che abbassarla.

Maometto temeva tuttavia l’incomprensione della società. Molti avrebbero detto che aveva sposato la moglie di suo figlio essendo stato sedotto da lei. Questa fu la ragione per cui aveva insistito presso Zayd per impedire il divorzio. Se fosse stato innamorato di lei, avrebbe apprezzato e anche desiderato il divorzio.

Zayd era uno schiavo, prima di conoscere Maometto. Questi lo liberò prima di cominciare la sua missione e Zayd, poi, credette nell’Islam. Dunque, gli era stata accordata una doppia grazia: quella dell’affrancamento e quella della fede. Per questa ragione Dio, dopo il versetto 36, prosegue dicendo a Maometto:

«Quando dicesti a colui (Zayd), al quale Dio aveva accordato un favore (per mezzo dell’Islam), e che tu pure avevi favorito (affrancandolo): Trattieni presso di te tua moglie e temi Dio, tenendo nascosto nell’animo tuo, ciò che Dio stava per rendere palese.» (Corano XXXIII; I Confederati,37)

Interpretazione di «Jalalein»:

«Tieni nascosto nell’animo tuo» l’amore per Zaynab e l’intenzione di sposarla se Zayd la ripudia.

Nostra interpretazione:

Il Profeta non nasconde nel suo cuore l’amore per Zaynab, ma nasconde la sua preoccupazione, essendo cosciente della gravità della situazione. Capisce che in caso di divorzio da Zayd, sarebbe stato obbligato a sposarla egli stesso per non disonorarla. D’altronde, la gente non avrebbe capito la sua profonda intenzione, avrebbe interpretato male il suo gesto: ma soprattutto avrebbe pensato, che l’avesse sposata per amore, come certuni pensano ancora oggi. Questa è la ragione per la quale Dio incitò Maometto a comportarsi secondo la propria coscienza, indipendentemente da ciò che avrebbe pensato la gente: «E tu temi gli uomini (perché possono dire che ha sposato la moglie di suo figlio). È Dio, piuttosto che devi temere.»

Interpretazione di «Jalalein» a proposito di questo versetto:

«Sposala dunque senza curarti dei discorsi della gente.»

Nostra interpretazione:

Il Profeta deve agire saggiamente davanti a Dio, ignorando le dicerie della gente. Maometto deve modellare il suo comportamento in funzione del meglio, non cercare il modo di piacere agli uomini, nemmeno se dovesse essere calunniato di avere sposato Zaynab per passione. Il Profeta deve tenere conto solo del giudizio di Dio che conosce la sua intenzione nascosta: sposare Zaynab per evitarle il disonore e per evitare che sorgano discordie fra gli Arabi.
La nostra interpretazione si armonizza con tutta la vita del Profeta, particolarmente con ciò che concerne le motivazioni nobili e profonde dei suoi matrimoni.

Le principali battaglie del profeta Maometto

A «Al Medina», la «Città del Profeta», la «Città Luminosa», come fu chiamata in seguito, Maometto aveva molti discepoli fra i quali le due tribù «Al Aws» e «Al Khazraj». Come nemici non aveva che gli Ebrei che si erano alleati con gli idolatri di La Mecca. È la ragione per la quale il Corano dice:

«Tu, per certo, troverai che i più violenti nell’inimicizia contro coloro che credono, sono i Giudei e i politeisti (di La Mecca) e troverai, che quelli che sono più vicini per affetto a quelli che credono (nel Corano) sono coloro che dicono: ‘Noi siamo Cristiani’; ciò perché di essi alcuni sono preti e monaci, ed essi non sono orgogliosi.» (Corano V; La Tavola,85)

Dopo la sua fuga ad Al Medina, gli Ebrei di questa città incitarono gli idolatri di La Mecca a continuare a combattere Maometto. Il Profeta, fino a quel momento, si era rifiutato di portare armi, ma questa persecuzione lo obbligò a ricorrervi, per legittima difesa. Aveva il dovere di difendere i suoi discepoli, la prima comunità di credenti, e la propria vita contro i nemici che attaccavano Al Medina. Essi avevano già invaso le case dei credenti a La Mecca e li avevano costretti all’esilio. Il Corano allude a ciò nel versetto seguente:

«E che sono stati scacciati dalle loro dimore, senza diritto alcuno, se non perché dicevano: ‘Il nostro Signore è Dio’.» (Corano XXII; Il Pellegrinaggio,41)

Per questa ragione Maometto giudicò che bisognava difendersi a Al Medina. La legittima difesa è non solo un diritto, ma anche un dovere. Dio autorizza, dunque, il suo Profeta a combattere:

«Dio ha permesso a quelli che hanno subito un’ingiustizia di combattere i loro nemici. Dio è capace di dar loro la vittoria» (Corano XXII; Il Pellegrinaggio, 41)

«Combatteteli, finché non vi sia più opposizione e il culto sia totalmente di Dio» (Corano VIII; Il Bottino,40)

Prima di parlare delle battaglie, è importante sottolineare che Maometto, secondo i versetti coranici citati, non prese mai l’iniziativa di una battaglia, ma si trovò sempre in situazioni di difesa. In certe circostanze Maometto fu accusato di aver preso l’iniziativa, ma si trattò dell’inseguimento del nemico, un combattimento che ne completò un altro.

L’invasione di Badr

Durante questa prima battaglia, i Mussulmani affrontarono, in numero di 300 solamente, gli idolatri della tribù di Quraish di La Mecca, che erano 1000. Malgrado il loro numero ridotto, i Mussulmani trionfarono sugli idolatri e questo fu per loro una gran gioia e un grande segno. Questa battaglia ebbe luogo nell’anno II dell’Egira.

L’invasione di Uhud

Gli idolatri della tribù di Quraish di La Mecca, incitati dagli Ebrei di Al Medina, attaccarono Maometto a Uhud, un sobborgo di Al Medina. I Quraishiti, forti di un’alleanza segreta con gli Ebrei, erano condotti dal capo dell’armata, Khaled-Ibn-El-Walid che, in seguito, si convertì all’Islam e sposò Zaynab, la figlia di Maometto. Questa battaglia terminò con la disfatta dei Mussulmani e con la morte di Hamza, lo zio prediletto di Maometto. Durante quest’invasione il Profeta prese coscienza dell’alleanza segreta tra gli Ebrei di Al Medina e gli idolatri di Quraish e decise di porre fine alla potenza ebraica.

L’invasione delle «Trincee»

Quest’invasione fu chiamata così perché fu scavata una trincea intorno ad Al Medina, per impedire ai Quraishiti di potervi entrare. Gli Ebrei, di nuovo, esortarono gli idolatri di La Mecca a combattere contro i Mussulmani. Quelli di La Mecca accerchiarono, così, Al Medina con un esercito considerevole: 10.000 uomini. Maometto aveva al suo fianco un ex-guerriero persiano, Salmane. Egli era un militare cristiano, esperto nel combattimento. Egli consigliò a Maometto di scavare una trincea attorno ad Al Medina, così i cavalli dei Meccani non riuscirono ad invadere la città. Questo salvò Maometto e i suoi. Questa battaglia ebbe luogo nell’anno V dell’Egira (627 d.C.). I Meccani avevano creduto in una vittoria facile, invece furono bloccati nel deserto con i viveri che diminuivano e un freddo glaciale. Furono, perciò, costretti a ritirarsi.

L’invasione di Bani-Qorayza

L’invasione del villaggio ebreo di Bani-Qorayza fece seguito alla guerra delle Trincee. Maometto aveva nel frattempo scoperto il complotto degli Ebrei contro di lui e il loro ruolo determinante nell’invasione delle Trincee. Maometto decise di inseguirli. Gli Ebrei erano fuggiti nel villaggio di Bani-Qorayza dove egli li attaccò e li sconfisse. I sopravvissuti raggiunsero la città di Khaybar, una fortezza ebraica, il loro ultimo rifugio nella penisola araba. Fu in questo luogo che si svolse l’ultimo combattimento di Maometto contro gli Ebrei.

Dopo le invasioni delle Trincee e di Bani-Qorayza, le posizioni dell’Islam nella penisola Araba furono consolidate e Maometto conobbe un periodo di pace. Gli Arabi cominciarono a temerlo e cercarono di stabilire dei legami pacifici con lui.

Il patto di Hudaybiyya

Sei anni dopo la partenza del Profeta e dei suoi discepoli da La Mecca, questi ultimi vollero ritornarvi in pellegrinaggio. Il Profeta si mise alla testa di una marcia pacifica verso La Mecca. Essi si fermarono in un luogo nei dintorni di La Mecca, chiamato Hudaybiyya. La gente di Quraish rifiutò ai Mussulmani il permesso di entrare come pellegrini a La Mecca. Furono organizzate delle trattative che si conclusero con il «Patto di Hudaybiyya» in virtù del quale fu proclamata una tregua di dieci anni. Questo patto permetteva ai Mussulmani di andare in pellegrinaggio a La Mecca l’anno seguente e per un periodo di tre giorni solamente.

I pellegrini e Maometto, dunque, ritornarono tre settimane più tardi a Al Medina. Il patto di Hudaybiyya permise a Maometto di spargere il suo messaggio in tutta la penisola Araba e contribuì a diffondere il volto pacifico dell’Islam. Un buon numero di Arabi abbracciarono la religione monoteista e si affiancarono al Profeta. In questo tempo l’alto ufficiale Khaled-Ibn-El-Walid, convertitosi all’Islam, sposò Zaynab, figlia del Profeta, dopo aver combattuto i Mussulmani a Uhud. A sua volta, Maometto sposò Maymouna, la zia di Khaled, consolidando in tal modo l’unità fra di loro.

Emissari di Maometto ai Re

Poiché la situazione nella penisola Araba si era calmata, Maometto inviò degli emissari con lettere ai principali sovrani, domandando loro di aderire alla fede mussulmana e al suo messaggio. I re interpellati furono: Eracle, il re bizantino, Serse, il re persiano, il Negus «Ahmassa» di Etiopia e infine il Capo della comunità Copta in Egitto. Nel capitolo IV, riproduciamo il contenuto della lettera inviata al re Eracle.

L’invasione di Khaybar

La pace si era estesa in tutta la Penisola Araba, non restava davanti a Maometto che una minaccia condotta dagli Ebrei ritiratisi a Khaybar. Un mese dopo la pace di Hudaybyya, Moametto stesso uscì alla testa di un’armata mussulmana e accerchiò la città e la fortezza. I Mussulmani si lanciarono valorosamente nella battaglia senza paura della morte e trionfarono dopo un combattimento accanito e feroce. Era il settimo anno dell’Egira, 629 d.C..

Dieci anni dopo l’Egira, la luce dell’Islam si era sparsa nella totalità della penisola Araba dove Mussulmani e Cristiani vivevano in pace. Maometto fece un’entrata trionfale e pacifica a La Mecca senza incontrare resistenza. Entrò nella «Kaaba» e ne distrusse gli idoli. Pronunciò allora queste parole:

«E dì: è venuta la verità ed è scomparsa la falsità; certo la falsità è precaria.» (Corano XVII; Il Viaggio Notturno,83)

Maometto perdonò generosamente i suoi nemici, Abi Sifian e tutti quelli che avevano preso la testa della resistenza contro di lui, e non cercò di vendicarsi.

Questo nobile Profeta morì nell’undicesimo anno dell’Egira, nel 632 della nostra era, a Al Medina, dove si trova attualmente la sua tomba.

I principali punti d’incontro fra il Corano e il Vangelo

Il grande punto d’accordo tra la Bibbia e il Corano è la rivelazione del Dio Unico, il Creatore dell’Universo. Inoltre, la principale testimonianza del Corano in favore del Vangelo è l’attestazione che Gesù sia veramente il Messia. Se il Corano non avesse attestato questa Verità evangelica fondamentale, non sarebbe stato né sincero, né veritiero. È particolarmente questa testimonianza che ha sconcertato gli Ebrei, suscitando il loro odio contro Maometto, tanto più che il Corano si presenta come una conferma del Messaggio evangelico nella sua totalità. Ora, il Vangelo è un libro bandito dagli Ebrei, dagli Atei e dai Pagani.

Se il Corano avesse affermato che Gesù non era il Messia, gli Ebrei non avrebbero combattuto Maometto e ciò avrebbe giustificato la loro attesa di un Messia sionista conosciuto nel Vangelo con il nome di Anticristo. Noi affronteremo questo argomento parlando del Messia.
I principali punti d’incontro fra il Corano e il Vangelo sono i seguenti:

  1. Il Messia
  2. La Vergine Maria
  3. La Tavola Celeste
  4. Lo Spirito (Santo)

Il Messia

La prima e grande verità rivelata dal Corano agli Arabi è l’esistenza di un solo Dio.

La seconda verità fondamentale è che Gesù è veramente il Messia inviato da Dio e annunciato dai profeti dell’Antico Testamento. Come abbiamo già detto, fu la rivelazione di questa verità nel Corano che irritò gli Ebrei e impedì loro di aderire al Corano. Perché riconoscendo il Corano avrebbero dovuto rinunciare all’attesa di un Messia sionista.
Ecco i versetti coranici che confermano che Gesù è il Messia, il Profeta di Dio, la Parola di Dio e Lo Spirito di Dio:

«O Maria, Dio ti annunzia il Suo Verbo, il cui nome sarà il Messia, Gesù Figlio di Maria…» (Corano III; La Famiglia d’Imran,40)

«…E per avere essi (gli Ebrei) detto: in verità noi uccidemmo il Messia, Gesù figlio di Maria, il Profeta di Dio…» (Corano IV; Le Donne,156)

«Il Messia, Gesù, Figlio di Maria, è l’Apostolo di Dio, il Suo Verbo che Egli gettò in Maria e uno Spirito, proveniente da Lui…» (Corano IV; Le Donne,169)

«Chi potrebbe opporsi minimamente a Dio, se Egli volesse annientare il Messia, figlio di Maria, e sua Madre…» (Corano V; La Tavola Imbandita,19)

Se gli Ebrei accettassero il messianismo di Gesù, non attenderebbero più il loro Messia sionista e, di conseguenza, dovrebbero rinunciare di fatto al sionismo e allo Stato d’Israele che incarna gli ideali sionisti. Nel passato, gli Ebrei hanno respinto Gesù come Messia, come continuano a fare, perché Egli condanna la realizzazione di un’entità politica in nome del giudaismo. San Giovanni dice nel suo Vangelo che Gesù vedendo una grande folla precipitarsi verso di Lui per proclamarlo re d’Israele, fuggì sulla montagna tutto solo. (Giovanni 6,14-15). Gesù insegnò ancora, che il Regno di Dio è all’interno dell’uomo (Luca 17,20-21) e non all’esterno, nel mondo politico, come gli Ebrei e tanti altri credono ancora oggi.

Dodici secoli prima di Gesù, Gedeone, un capo militare, aveva anch’egli rifiutato il regno che gli Ebrei gli offrivano:

«Allora gli Israeliti dissero a Gedeone: ‘Regna su di noi tu e i tuoi discendenti, poiché ci hai liberati dalla mano di Madian’. Ma Gedeone rispose loro: ‘Io non regnerò su di voi né mio figlio regnerà; il Signore regnerà su di voi.’» (Giudici 8,22-23)

In seguito, il profeta Samuele aveva annunciato che Dio rigettava un regno israeliano (1 Samuele 8). Gli Ebrei, però, da lungo tempo aspiravano a un impero sionista tramite un regno israeliano in Palestina. Essi hanno ignorato i comandamenti di Dio e la sua volontà proclamati per mezzo del profeta Samuele (1 Samuele 8,19).

Rifiutando la creazione di un regno israeliano, il Messia rivela lo scopo spirituale, non politico, della religione ebraica e di ogni religione. Questo non esclude l’esercizio di un’attività politica da parte dei credenti. Al contrario, é preferibile che i credenti prendano le redini del potere, per instaurare riforme sociali e morali al servizio della società. Politicizzare, però, lo spirituale creando in nome della religione un nuovo Stato, come vogliono certi Ebrei, Cristiani e Mussulmani è contrario al piano di Dio. Perché Dio è per i credenti, ma lo stato é per tutti, credenti e non credenti e, come dice il Corano:

«Non vi sia costrizione alcuna nella religione» (Corano II; La Vacca,257)

Una tale Rivelazione dovrebbe essere scritta a lettere d’oro.

La fede in Gesù come Messia è la summa dell’insegnamento evangelico:

«Nessuno può dire: ‘Gesù è Signore’ (cioè che è il Messia) se non sotto l’azione dello Spirito Santo.» (1 Corinzi 12,3)

«Chiunque crede che Gesù è il Cristo è nato da Dio.» (1 Giovanni 5,1)

Gesù stesso disse agli Ebrei che complottavano contro di lui:

«Se infatti non credete che Io sono (il Messia), morirete nei vostri peccati.» (Giovanni 8,24)

C’è anche da riportare un altro versetto coranico che testimonia di Gesù come del Messia atteso:

«Essi hanno preso i loro dottori (i Rabbini ebrei), i loro monaci (i Cristiani) e il Messia figlio di Maria, per loro signori, all’infuori di Dio, mentre non era stato ordinato loro se non di adorare un solo Dio, oltre il quale non vi è altro dio!» (Corano IX; Il Pentimento,31)

Questo versetto che testimonia che Gesù, il «figlio di Maria» è il Messia è spesso male interpretato da alcuni che vi vedono una negazione della divinità del Messia. Questa non è l’intenzione del Corano che si presenta come conferma dell’ispirazione evangelica (Corano IV; Le Donne,50). Ora, il Vangelo rivela la divinità incarnata nella persona di Gesù. (Vedere capitolo: «I punti di controversia», punto 3: «La divinità del Messia»). Non bisogna prendere come Signore e Dio il Figlio di Maria AL POSTO di Dio dunque, ma IN QUANTO Dio incarnato annunciato dalle profezie bibliche. Diversamente si adorerebbero due dei indipendenti l’uno dall’altro: Dio da una parte e il Messia da un’altra, quando «non era stato ordinato loro se non di adorare un solo Dio». Da notare che la parola «Signori» è messa al plurale indicando così un politeismo. Questa finezza non è percepita da tutti gli interpreti del Corano che non si sono dati la pena d’interpretare per mezzo del «migliore degli argomenti» come prescritto dal Corano nella Sura XXIX; Il Ragno,45.

D’altronde l’Ispirazione evangelica ci mette in guardia dall’apparizione del falso messia sionista chiamato Anticristo da San Giovanni:

«Come avete udito che deve venire l’Anticristo… Colui che nega che Gesù è il Cristo costui è l’Anticristo» (1 Giovanni 2,18-22)

Noi sappiamo che gli Ebrei negano che Gesù sia il Messia, particolarmente i Sionisti.

Cosa concludere riguardo queste parole evangeliche? Ne traiamo due conclusioni:

  1. Maometto, riconoscendo Gesù come Messia, è ispirato dallo Spirito Santo ed è «nato da Dio».
  2. Tutti coloro che negano che Gesù sia il Messia, ossia gli Ebrei che lo rifiutano e attendono un altro messia, formano insieme la persona morale dell’Anticristo. Insomma, lo Stato moderno d’Israele incarna le potenze dell’Anticristo.

L’Ispirazione evangelica rivela che Gesù stesso annienterà l’Anticristo, quando quest’ultimo apparirà. Secondo San Paolo l’avvento del Messia sarà preceduto dall’apparizione «dell’Uomo Empio», del «Nemico» che Gesù, il Messia, annienterà con lo splendore della sua venuta (2 Tessalonicesi 2,3-12). L’empietà annunciata da San Paolo è il comportamento empio e razzista dei sionisti, dato che Dio è universale e non razzista. «L’Uomo Empio», il «Figlio della Perdizione» e «il Nemico» di cui parla San Paolo sono l’uomo sionista, la cui condotta non piace a Dio e lo rende «nemico di tutti gli uomini» come spiega San Paolo (1 Tessalonicesi 2,15).

Nel passato, gli Ebrei sionisti hanno lavorato segretamente sotto l’Impero Romano per fondare lo Stato d’Israele. Furono impediti in questo dai Romani. Ora, l’apparizione di questo stato permette loro di attivarsi apertamente e con più potenza di prima per estendere la loro influenza. Oggi, questa potenza anticristo è armata da alleati che pretendono essere discepoli di Gesù. In questo consiste la seduzione e il tradimento della fine dei tempi predetti dal Vangelo (Matteo 24).

Il Profeta Maometto ha parlato nelle sue «Nobili Discussioni» dell’apparizione di questa forza d’empietà, dicendo che l’Anticristo avrà scritto sulla fronte tre lettere. «K. F. R». Queste lettere in arabo formano la parola «Kufr» che significa empietà o bestemmia. Specificò anche che questa forza del male veniva dagli Ebrei. Nell’Ispirazione evangelica noi ritroviamo queste medesime bestemmie sulla fronte della «Bestia» apocalittica:

  1. «Alla Bestia fu data una bocca per proferire parole d’orgoglio e bestemmie.» (Apocalisse 13,5)
  2. «Io vidi… una Bestia scarlatta, coperta di nomi blasfemi… sulla fronte aveva scritto un nome MISTERIOSO…» (Apocalisse 17,1-5) Vedere il testo: «La Chiave dell’Apocalisse»

Il profeta Maometto, attestando San Paolo, ha ugualmente sottolineato nelle sue «Nobili Discussioni» che, quando apparirà l’Anticristo, Gesù e i suoi eletti si leveranno per combatterlo e distruggerlo. I discepoli di Gesù, oggi, secondo l’intenzione dell’Ispirazione e delle profezie divine, non sono i Cristiani tradizionali che collaborano con Israele e lo sostengono. Questo colpevole sostegno «cristiano» a Israele è stato ugualmente profetizzato, dato che, secondo il Vangelo, l’Anticristo seduttore riuscirà a sedurre i falsi discepoli di Gesù (Matteo 24). Ai nostri giorni, i veri credenti sono gli assetati di Giustizia, che subiscono il peso dell’iniquità sionista, resistendo a Israele e al sionismo internazionale.

Secondo le profezie evangeliche e quelle del Profeta Maometto, lo Stato d’Israele sparirà per sempre. La sua caduta sarà il simbolo del fallimento del sionismo e di ogni mentalità materialistica equivalente. Tramite questo avvenimento molti realizzeranno che Gesù è veramente il Messia e che il suo Regno è per sempre ben stabilito sulla terra, secondo l’annuncio dei profeti.

La Vergine Maria

Il Corano contiene i versetti più belli a proposito della Vergine Maria. Esso pone la Madre del Messia al più alto vertice della santità umana:

«Gli angeli dissero a Maria: O Maria, Dio ti ha scelta, ti ha resa pura e ti ha prescelta fra le donne di tutte le creature.» (Corano III; La Famiglia d’Imran,37)

Questa testimonianza condanna gli Ebrei che, come ha rivelato il Corano, hanno inventato contro Maria calunnie atroci (Corano IV; Le Donne,155). Dio, nell’Ispirazione coranica, attesta ciò che ha ispirato nel Vangelo a proposito di Maria:

«Benedetta tu fra le donne.» (Luca 1,42)

Il Corano rivela ugualmente l’eccezionale purezza di Maria e la sua Immacolata Concezione, come pure quella di Gesù. Nel versetto seguente, la moglie d’Imran, cioè la madre di Maria (la Famiglia d’Imran sono i genitori di Maria) prega dicendo:

«‘Signor mio, io ho votato a Te ciò che è nel mio seno, come dedicato al Tuo servizio; accettalo da me, poiché Tu sei l’auditore, il sapiente’; e quando ebbe partorito essa, disse: ‘Signor mio, ho partorito una femmina; io l’ho chiamata Maria, e a Te raccomando essa e la sua posterità (Gesù), perché Tu li preservi da Satana’.» (Corano III; La Famiglia d’Imran,31)

Dio ha ascoltato la preghiera della madre di Maria e ha esaudito il suo voto: Maria e Gesù furono i soli protetti contro il demonio, come dichiara Maometto nelle sue «Nobili Discussioni»:

«Nessun uomo nasce senza che il diavolo lo tocchi fin dalla sua nascita ed egli grida a causa di questo tocco satanico (tara del peccato originale), ad eccezione di Maria e di suo Figlio

Questo versetto delle «Nobili Discussioni» si trova nell’interpretazione di «Jalalein», dopo il versetto 31 della sura La Famiglia d’Imran; è un hadith riportato da Abi Houraira, vedere http://www.el-ilm.net/t1333-maryam-bint-imran. È anche riportato in un modo leggermente modificato da Al Bokhari, vedere l’originale francese «L’authentique tradition musulmane, choix de hadiths», Fasquelle, p. 48.

Queste parole, accettate da tutto il mondo mussulmano, sono un riconoscimento dell’Immacolata Concezione di Maria.

A questo proposito il Profeta Maometto ci insegna che tutti gli uomini, compresi i Profeti ed egli stesso, nascono con questa tara, ad eccezione dell’Immacolata Maria e, naturalmente, di suo Figlio, il Messia.

La Tavola Celeste

Il Corano ci rivela che Dio fece discendere dal Cielo una «Tavola» imbandita per nutrire gli Apostoli di Gesù. Questo cibo celeste è un punto comune fra la Bibbia e il Corano, ignorato dalla maggioranza dei credenti. Si tratta della comunione al Corpo e al Sangue del Messia, Tavola spirituale di Dio. Infatti, il Corano riporta pedagogicamente, sotto una forma simbolica e condensata, l’ultima Cena pasquale che Gesù divise con i suoi Apostoli e nel corso della quale istituì la Cena spirituale tramite il Suo Corpo e il Suo Sangue. Questo fatto é riportato dal Corano in modo sottile, rispettando l’ignoranza del mondo arabo dell’epoca nei confronti del messaggio evangelico:

«Gli apostoli dissero: ‘O Gesù, figlio di Maria, può il tuo Signore far scendere dal Cielo su di noi una Tavola imbandita?’; ‘temete Dio’, rispose Gesù, ‘se siete credenti’. ‘Noi vogliamo’, essi dissero, ‘mangiare di essa, affinché si rassicurino i nostri cuori e sappiamo che Tu ci hai detto la verità e siamo di quella testimoni’ (testimoni della Tavola). Gesù, figlio di Maria, disse allora: ‘O Dio, Signor nostro, fa’ scendere su di noi, dal Cielo, una Tavola imbandita, la quale sia per noi una festa, per il primo come per l’ultimo di noi, e un Segno da parte Tua; provvedici quindi del necessario (nutrici) poiché Tu sei il migliore dei sostentatori’. Dio disse: ‘Io, in verità, la faccio scendere su di voi: però chi di voi, dopo di ciò, ancora non creda, Io, certo, lo punirò di un castigo, con cui non punirò mai alcun’altra delle creature’.» (Corano V; La Tavola,112-115)

In che cosa consiste questa Tavola imbandita discesa dal Cielo? È importante conoscere la vera natura, perché gli Apostoli hanno promesso di «esserne testimoni». Inoltre, questa testimonianza si deve estendere fino all’ultimo credente sulla Terra, perché Gesù chiede questa Tavola a Dio affinché Essa sia «una festa, per il primo come per l’ultimo di noi». Allora Dio La fece scendere, minacciando gli increduli dei più duri castighi.

Certi interpreti hanno visto in questa Tavola un nutrimento materiale a base di pesce o di carne. Essi hanno confuso fra il miracolo materiale della moltiplicazione dei pani e dei pesci operato da Gesù e riportato dal Vangelo (Giovanni 6), e il miracolo della Cena Spirituale, quello della Tavola spirituale «che scende dal Cielo» come precisa il Corano.

Il Vangelo riporta nel capitolo 6 di San Giovanni le parole del Messia a proposito di questa Cena spirituale di un’importanza vitale. Egli aveva detto che «la sua carne e il suo sangue» erano cibo e bevanda spirituali che donavano «la Vita Eterna» ai credenti. Molti dei suoi discepoli, ascoltando queste parole, le trovarono «troppo forti» e si allontanarono da Lui (Giovanni 6,48-66). Ancora oggi, molti «credenti» rifiutano queste parole, e si chiedono «come può costui darci la sua carne da mangiare?» (Giovanni 6,52).

Gli Ebrei, dopo secoli di preparazione, non poterono comprendere Gesù. Molti cosiddetti Cristiani, ancora oggi, non colgono il senso profondo di queste parole. Come si poteva, dunque, spiegare questa Cena Spirituale, questa Tavola imbandita agli Arabi della penisola Araba che ignoravano tutto della Bibbia? Il Corano doveva perciò presentare il messaggio biblico con allusioni e parabole, allo scopo di suscitare negli Arabi, desiderosi di verità, una santa curiosità, che li spingesse alla ricerca nel Vangelo del senso profondo di questo messaggio. Lì, troveranno la pienezza della luce sul mistero della Tavola coranica che scende dal Cielo. Come abbiamo detto, molti trovano questo fatto difficile da credere; è una questione «di credere o non credere! Di prendere o lasciare». A ognuno la propria responsabilità.

Certi interpreti pretendono che questa Tavola imbandita non sia ancora stata inviata da Dio. Ciò non corrisponde alle parole del Corano: «Dio disse: La faccio scendere su di voi», Dio l’ha dunque già fatta scendere sugli Apostoli nel passato, minacciando perfino che gli increduli sarebbero stati puniti come non mai. Inoltre, Gesù l’ha domandato a Dio perché ne potessero testimoniare «il primo e l’ultimo» dei credenti. I primi Apostoli vi avevano dunque già partecipato. Deve rimanere fino alla fine dei tempi, perché possano testimoniare anche gli ultimi credenti sulla Terra.

Il Messia ha dato agli Apostoli questa «Tavola imbandita» che scende dal Cielo. Essa é quel «Pane di vita che discende anche esso dal Cielo» (Giovanni 6,32-36). Gesù ha dato questo Pane del Cielo un anno dopo averne parlato. Questo fatto é accaduto durante l’ultima Cena pasquale che Egli ebbe con i suoi Apostoli, quando, prendendo del pane, Egli lo diede loro dicendo:

«Prendete e mangiate; questo è il mio Corpo». Poi prese il calice e, dopo aver reso grazie, lo diede loro, dicendo: «Bevetene tutti, perché questo è il mio Sangue, il Sangue della Nuova Alleanza, versato per voi e per molti, in remissione dei peccati.» (Matteo 26,26-29)

Gli Apostoli compresero, allora, e i credenti dopo di loro, come il Messia si fosse dato loro sotto forma di cibo e bevanda. La Cena, la Tavola imbandita, che il Messia vivente offre ai «primi e agli ultimi» credenti è lo Spirito Santo che dimora nel cuore dei credenti tramite questo Pane che mangiano e questo Vino che bevono e che contengono il Corpo, il Sangue e l’Anima del Messia vivente per l’eternità.

Questa Bevanda celeste è quella menzionata nel Corano nella sura «I non riempienti la misura»: Coloro che bevono questo Vino sono i puri, gli eletti da Dio, coloro che rifiutano di berlo sono i dannati. Il Corano rivela infatti:

«Certo, i giusti saranno fra delizie; adagiati sui letti elevati, staranno a guardare, ravviserai sui loro volti lo splendore della gioia, verrà dato loro a bere del Vino sigillato, il cui sigillo sarà di muschio; che aspirino ad esso gli aspiranti alla felicità. L’Acqua mescolata in esso sarà quella di Tasnim, fonte (celeste) dalla quale berranno i vicini da Dio. Quelli che fanno malvagità (coloro che rifiutano di berne) ridono di quelli che credono… (in questo vino sigillato)» (Corano LXXXIII; I non riempienti la misura,22-29)

Il Corano, offrendo ai credenti in modo poetico e armonioso questo misterioso «Vino sigillato», testimonia in favore delle parole di Gesù nel Vangelo di Giovanni a proposito del «pane sigillato», il cibo suggellato da Dio, che scende dal Cielo, Gesù stesso, «perché su di Lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo» (Giovanni 6,27). Questo cibo celeste si trova nel Pane e nel Vino che sono serviti con generosità sulla Tavola Celeste di Dio che scende dal Cielo continuamente.

Ricordiamo ciò che Gesù dice nella sura «La Tavola imbandita»:

«O Dio, Signor nostro, fa’ scendere su di noi, dal Cielo, una Tavola imbandita, la quale sia per noi una festa, per il primo come per l’ultimo di noi, e un segno da parte Tua…» (Corano V; La Tavola,114)

Questo significa che la Tavola scesa dal Cielo non fu solo per gli Apostoli; Essa continua a scendere ogni giorno e in tutti luoghi, per essere una festa «per il primo come per l’ultimo», dunque per i credenti di tutti i luoghi e di tutti i tempi, fino all’ultimo credente, fino al giorno della Resurrezione. Essa testimonierà eternamente davanti a Dio in favore di coloro che avranno testimoniato per Essa sulla Terra.

La Tavola imbandita e questo Vino sigillato che scendono dal Cielo hanno per scopo separare l’umanità in due: da una parte gli eletti di Dio, coloro che si nutrono di questa Tavola, e dall’altra i dannati che rifiutano di nutrirsene e ridono di coloro che ci credono.

Infine, bisogna segnalare un fatto importantissimo da sapere: il divino Corano incita i credenti (gli aspiranti) alla competizione, verso questa Bevanda misteriosa e vivificante che scende dal Cielo (Corano LXXXIII; I non riempienti la misura,26). Questo differisce totalmente dalle bevande alcoliche del mondo di quaggiù. Che tutti quelli che rifiutano questo Vino divino, si armino piuttosto di Saggezza. Che coloro che ridono dei credenti che si precipitano a questo vino in «competizione», si ravvisino, prima che sia, per loro, troppo tardi.

Lo Spirito

Il mondo islamico ha dello «Spirito» solo una nozione indefinita. Questa parola ritorna spesso nel Corano senza che la sua essenza sia chiarita. Così, i credenti sono portati a chiedersi cosa significhi esattamente quest’espressione. Troviamo nel Corano:

«Ti interrogheranno riguardo allo Spirito; dì: ‘lo Spirito viene per comando del mio Signore, però a voi non è stato dato (nel Corano), della scienza, se non poco’.» (Corano XVII; Il Viaggio Notturno,87)

È secondo una saggezza divina, che il Corano nasconde ai Mussulmani ciò che è lo Spirito. Dio ha voluto che la Sua rivelazione coranica fosse una porta aperta e un passaggio verso la Bibbia segnatamente verso il Vangelo, come Egli ha voluto che il Corano fosse un testimone attestando la veridicità della Rivelazione biblica, come spiegato precedentemente.

Nel Corano, la questione dello Spirito è similare a quella della «Tavola imbandita» che Dio fece scendere dal Cielo sugli Apostoli. Il credente può capire il suo significato solo ricorrendo alla Bibbia. Infatti, il Corano stesso incita il credente a consultare la Bibbia e la gente della Bibbia. Leggiamo nella sura «Giona»:

«Ora, se tu (Maometto) sarai in dubbio riguardo a ciò che abbiamo rivelato a te, interroga quelli che leggono il Libro (la Bibbia) inviato prima di te; ora la Verità è venuta a te, da parte del tuo Signore; non essere quindi, di quelli che dubitano.» (Corano X; Giona,94)

Il Corano apparve dunque come un passaggio verso la Bibbia. In Essa i credenti trovano il chiarimento di ciò che è stato parzialmente rivelato nel Corano. Quest’ultimo infatti dichiara chiaramente che offre agli Arabi, ignoranti all’epoca, solamente poco della scienza, cioè «poca scienza» il complemento della quale si trova nella Bibbia:

«A voi non è stato dato (nel Corano), della scienza, se non poco.» (Corano XVII; Il Viaggio Notturno,87)

Coloro che denigrano la Bibbia, fanno parte di «quelli che dubitano» (Corano X; Giona,94). Il credente, però, che vuole essere aperto all’insieme della Rivelazione divina troverà nella Rivelazione biblica la risposta al significato della parola «Spirito»: é lo Spirito Santo di Dio, Dio stesso che ha mandato il suo Spirito eterno ai profeti, da Abramo in poi e si è incarnato nel seno della Vergine Maria, come Dio ha rivelato nella Bibbia e nel Corano.

Infatti, il vangelo riporta:

«…Allora Maria disse all’angelo: ‘Come è possibile? Non conosco uomo?’ Le rispose l’angelo: ‘Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo e per questo Colui che nascerà sarà santo e chiamato Figlio di Dio’.» (Luca 1,34-35)

Così leggiamo anche nel Corano:

«Il Messia, Gesù, figlio di Maria, é l’Apostolo di Dio, il Suo Verbo, che Egli gettò in Maria e uno Spirito, proveniente da Lui» (Corano IV; Le Donne,169)

D’altronde, quando gli inviati dal Profeta Maometto si presentarono davanti al Negus per spiegargli gli insegnamenti del Profeta Maometto, Jaafar Ibn-Abi-Taleb rispose che Gesù «è il servitore di Dio, il suo Inviato, il suo Spirito e la sua Parola gettata nella Vergine Maria».

Invito alla riflessione

Quest’ultimo capitolo invita il lettore a riflettere su due punti:

  1. La lettera d’invito alla fede indirizzata da Maometto all’imperatore Eracle
  2. L’accoglienza riservata dal Negus d’Etiopia ai Mussulmani venuti a rifugiarsi presso di lui, dopo la loro fuga da La Mecca

La lettera a Eracle

Ecco la traduzione di questa lettera:

«In nome di Dio misericordioso. Da Maometto, servitore di Dio, a Eracle, Grande Re dei Bizantini, salute a coloro che seguono la buona direzione. Ora io t’invito a ricevere il messaggio dell’Islam. Accetta l’Islam, sarai salvo e Dio ti darà una doppia ricompensa. Se tu rifiuti, l’empietà degli Ariani sarà su di te. O popoli del Libro, venite, discutiamo e siamo d’accordo sul fatto che noi adoriamo un solo Dio senza associargli niente altro, e senza proclamare fra di noi dei signori, eccetto Dio. Se voi accettate, dite: ‘Testimoniate che noi siamo Mussulmani’.»

Due punti ci interessano in questa lettera:

La doppia ricompensa

Il profeta Maometto assicurava a Eracle una «doppia ricompensa» da parte di Dio se egli avesse creduto nel suo Messaggio. Il Profeta ripete qui questa doppia ricompensa promessa da Dio ai Cristiani che avevano proclamato la loro fede nell’Islam, dicendo:

«Noi, invero, eravamo Mussulmani prima di Esso (il Corano)». Dio risponde loro, nel Corano: «A quelli verrà data una doppia ricompensa.» (Corano XXVIII; La Storia,53-54)

La prima ricompensa deriva dalla loro fede nel Messia e nel Vangelo, la seconda risulta dalla loro fede nel Corano che testimonia in favore della Bibbia e del Vangelo.

Quale deve essere l’atteggiamento dei Cristiani di oggi che credono nel Vangelo e nel Corano? Secondo il Profeta Maometto e contrariamente al parere di molti Mussulmani tradizionalisti essi non devono rinunciare ad alcun insegnamento evangelico, poiché Maometto domanda loro solo di dire: «Noi siamo Mussulmani» (cioè sottomessi a Dio). Secondo la sura «La Storia», citata sopra, essi erano già Mussulmani, sottomessi a Dio, prima del Corano.

Quando il Negus d’Etiopia, in compagnia dei patriarchi copti, ascoltò per la prima volta il messaggio mussulmano, i patriarchi dissero: «Ma queste parole vengono dalla medesima sorgente delle parole del nostro Signore Gesù, il Messia!»

Parimenti, il Corano testimonia che l’Islam esisteva prima della rivelazione coranica:

«E quando Gesù si accorse della miscredenza da parte di essi (degli Ebrei), disse: ‘Quali saranno i miei ausiliari, per condurre gli uomini verso Dio?’ ‘Noi’ risposero gli Apostoli, ‘saremo gli ausiliari di Dio, noi crediamo in Dio, e tu testifica che noi siamo Mussulmani (sottomessi)’.» (Corano III; La Famiglia d’Imran,45)

Dio dice, anche, in un altro versetto:

«E, quando dissi, per rivelazione, agli Apostoli, ‘credete in Me e nel Mio Inviato (Gesù)’, essi risposero: Noi crediamo, e Tu testifica che noi siamo Mussulmani‘.» (Corano V; La Tavola,111)

Così, nel concetto coranico, gli Apostoli di Gesù erano già Mussulmani prima dell’Islam, e chiunque crede che Gesù sia il Messia è già Mussulmano, già «sottomesso» a Dio accettando il Vangelo.

Dopo la venuta del Profeta Maometto confermando il Vangelo, coloro che negano Maometto negano il Vangelo e coloro che credono in Maometto testimoniano con lui l’autenticità del Vangelo e ottengono una «doppia ricompensa». Allo stesso modo, colui che crede nel Corano e in Maometto, se si sottomette al Vangelo nel suo testo attuale, ne è testimone con il Corano. Se, però, rinnega il Vangelo, cessa di essere Mussulmano. Diventa un falso testimone del Vangelo e del Corano e l’empietà degli ariani sarà su di lui.

L’empietà degli ariani

Il secondo punto degno di interesse in questa lettera è la menzione dell’empietà «ariana», conosciuta in occidente col nome di «arianesimo». L’arianesimo apparve ad Alessandria nel III secolo d.C. Un prete cristiano di nome Ario negò la divinità del Messia ed ebbe molti discepoli, conosciuti con il nome di Ariani (da non confondere con la razza ariana). Il concilio di Nicea (Turchia) tenutosi nel 325 d.C. condannò l’arianesimo. Questa eresia, ben conosciuta nella storia del Cristianesimo, persistette lungo tempo dopo il concilio di Nicea. Si sparse in Oriente fino al tempo del Profeta Maometto e anche in seguito. Queste conseguenze malefiche esistono ancora oggi. Gli interpreti mussulmani che ignorano ancora il vero senso dell’arianesimo sono incapaci di darne una spiegazione esatta e sfigurano l’intenzione di Maometto.

Menzionando questa empietà, Maometto dimostra una saggezza e un’intelligenza che colpiscono ogni spirito avveduto, giacché il Profeta dimostra così, a partire dal suo ambiente arabo e desertico, che le decisioni del concilio di Nicea, che condannava l’arianesimo, sono giustificate e che egli le approva pienamente. Ora, questa empietà era la negazione della Divinità di Gesù e della Trinità Divina. Non è forse, da parte di Maometto, un riconoscimento implicito di queste due Verità divine?

Il rifugio dei Mussulmani in Etiopia

I primi discepoli di Maometto si rifugiarono in Etiopia in due gruppi successivi. Quando il primo gruppo arrivò in Etiopia, la tribù di Bani-Quraish di La Mecca, feroce nemica di Maometto, inviò due messaggeri, Amru-Ibn-El-Ass, che in seguito divenne Mussulmano, e Abdallah-Ibn-Abi-Rabiah, con regali preziosi da offrire al Negus «Ahmassa», reclamando l’estradizione dei rifugiati mussulmani. Essi li accusarono di essere dei malintenzionati, d’aver abbandonato la religione del loro popolo e di opporsi alla religione del Negus. Essi, secondo i messaggeri della tribù di Quraish, avevano inventato una religione sconosciuta, contraria a quella del Negus e degli Arabi.

Il Negus rifiutò di consegnare i rifugiati prima di averli ascoltati. Uno di essi, chiamato Jaafar Ibn-Abi-Taleb prese parola in presenza del Negus e dei capi religiosi etiopici:
«O Re, noi eravamo un popolo ignorante che adorava gli idoli, finché Dio non ha inviato uno di noi come Profeta di cui noi conosciamo l’origine, l’onestà e la fedeltà. Egli ci ha invitato a credere in un Dio Unico e ad adorarlo».
Il Negus rispose: «Puoi leggerci un testo scritto da quest’uomo, da parte di Dio?»
Jaafar rispose: «Sì» e gli recitò tutto il capitolo coranico di Maria fino al versetto dove Gesù dice:

«E la Pace sia su di me il giorno in cui nacqui, il giorno in cui morirò, e il giorno in cui sarò risuscitato a vita!» (Corano XIX; Maria,34)

Quando i patriarchi udirono questi versetti dissero: «Ma queste parole provengono della stessa fonte delle parole del nostro Signore Gesù il Messia!»
E il Negus lo confermò, dicendo ai due messaggeri: «Le parole di questa gente e le parole di Mosé emanano della stessa fonte. Partite! In nome di Dio, io non vi consegnerò questa gente».

I due messaggeri, però, non rinunciarono affatto al loro progetto. Ritornarono dal Negus per dire: «I Mussulmani fanno dei brutti discorsi su Gesù, Figlio di Maria. Mandali a cercare e interrogali a questo proposito». Quando essi furono arrivati davanti al Negus, Jaafar gli rispose: «Noi diciamo ciò che il nostro Profeta ci ha insegnato: Gesù è il Servo di Dio e il suo Inviato, il suo Spirito e la sua Parola, inviata alla Vergine Maria». Questi Mussulmani avevano compreso, dunque, che Gesù solo era lo Spirito e la Parola di Dio.

Quando il Negus ascoltò ciò, prese il bastone e disegnò una linea per terra dicendo: «Fra la nostra religione e la vostra c’è solo questa linea».
Se il Negus avesse conosciuto personalmente Maometto e avesse ascoltato gli insegnamenti dalla sua stessa bocca e se i due messaggeri di La Mecca non avessero avvelenato l’atmosfera, il Negus non avrebbe certamente tracciato quella linea fra i credenti. Il Profeta Maometto non ha mai immaginato né voluto una simile linea di separazione. Non era forse stato ispirato egli stesso, il Profeta, a dire ai popoli del Libro:

«Il nostro Dio e il vostro Dio sono un Dio unico» (Corano XXIX; Il Ragno,45)

Dov’è dunque, nella mentalità di Maometto, questa linea? Semplicemente non esiste.

È tempo ora, per tutti i credenti maturi nella fede, di superare le linee e gli ostacoli artificiali eretti dal fanatismo umano, nel corso dei secoli. È venuto il momento in cui il credente ritrovi e abbracci il fratello credente.
Non ci sono più Ebrei, non ci sono più Cristiani, non ci sono più Mussulmani. Siamo tutti Ebrei, siamo tutti Cristiani e siamo tutti Mussulmani a condizione tuttavia di superare la lettera per abbracciarci nello Spirito di Dio dopo avere scoperto la sua vera intenzione nella sua rivelazione biblico-coranica. «Giudichiamo da noi stessi ciò che è giusto» come raccomanda il Messia (Luca 12,57). Ciò è il «Retto Sentiero» del Corano (Corano I; La Aprente il Libro,6).

Dobbiamo avere il coraggio di essere credenti indipendenti!

Conclusione

Perché ho chiamato questo libro «Sguardo di fede sul Corano»?

La ragione è semplice: agli occhi degli uomini io sono cristiano e, a loro parere, un Cristiano non crede nel Corano. Tuttavia, il mio cristianesimo è più fedele all’Islam di quanto non lo siano parecchi Mussulmani. Il Corano e il suo degno Profeta Maometto testimoniano in mio favore e mi concedono una doppia ricompensa.

Il Corano e la Bibbia, non sono il monopolio di nessuno. Il Corano è un’Ispirazione divina indirizzata a tutti coloro che amano la Vita spirituale e aspirano a sublimare i loro pensieri per sedere accanto al Creatore, in Sua Compagnia e vivere eternamente del Suo Respiro e del suo Spirito vivificanti.

Io credo in Dio, in Abramo, in Gesù, il Messia di Dio e in Maometto, il Profeta di Dio. Sono un credente indipendente. Io non sono né Ebreo, né Cristiano, né Mussulmano. Sono però a mia volta Ebreo, Cristiano e Mussulmano. Perché io credo che esistano solo due comunità: la comunità dei credenti benedetti e la comunità dei fanatici esclusi, appartenenti a tutti i popoli, nazioni e religioni.

Anzi, concludo la mia testimonianza con questo versetto coranico luminoso della Sura III; La Famiglia d’Imran,198-199:

«Invero, della gente del Libro (della quale faccio parte) vi è chi crede in Dio e in ciò che è stato fatto scendere a voi (il Corano) e in ciò che è stato fatto scendere ad essi (la Bibbia), umiliandosi davanti a Dio, e non hanno barattato i Segni di Dio per un prezzo meschino. La loro ricompensa li attende presso il loro Signore» (Corano III; La Famiglia d’Imran,198-199)

Pierre (13.10.1984 / Rivisto 23.02.2008)

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