Traduzione in Italiano del testo tratto dal sito http://ostervald.free.fr/muslim/levoile.htm
Dopo gli studi all’università di Azhar al Cairo, Mahmoud Azab ha ottenuto in Francia un Dottorato negli studi semitici (Sorbona 1978). È stato professore di lingue semitiche all’università di Al Azhar del Cairo. È stato professore cooperante incaricato dell’insegnamento bilingue in seno a numerose università africane (Niger, Ciad). È anche stato delegato dell’università d’Al Azhar alle conferenze internazionali dei dialoghi interculturali. È stato nominato nel 1996 a Parigi professore associato di arabo classico (lingua e letteratura) all’Istituto Nazionale delle Lingue e Civilizzazioni Orientali (lingue «O») dove è professore titolare d’islamologia dal 2002.
In Francia e altrove, certe pratiche dei Mussulmani sembrano contestabili o fastidiose. Queste pratiche sono «veramente» l’Islam? Da ogni parte escono risposte approssimative o addirittura errate. Le prese di posizione si moltiplicano; spesso l’ignoranza abita gli spiriti.
Ci è sembrato importante interrogare uno specialista dell’Islam, il Professor Mahmoud Azab, perché egli ci chiarisca le idee sull’Islam e ci dia indicazioni storiche e accademiche sul testo fondatore della religione. Ci ha spiegato la dottrina religiosa e la sua evoluzione che sono ben diverse dalle pratiche popolari dell’Islam. Abbiamo inaugurato con lui una serie di incontri sui soggetti che concernono le società occidentali e le comunità Mussulmane, soprattutto in Francia. Il primo incontro verteva sulla lapidazione. Oggi, ci occupiamo della questione del «velo» delle donne.
Arthur Nourel: Gentile Professore, prima di affrontare direttamente il problema del velo delle donne nell’Islam, esiste un contesto globale della situazione della donna che lei desidererebbe esporre affinché possiamo accompagnare i nostri lettori nel viaggio storico e testuale che proponiamo loro?
Professor Mahmoud Azab: Per trattare il soggetto del velo nell’Islam, occorre innanzitutto conoscere la condizione della donna araba nella società pre-islamica e confrontarla con la condizione della donna nella società biblica giudeo-cristiana, così come con quella della donna nella cultura greca ed egiziana. È esaminando la storia e il contesto sociologico che si può spiegare e comprendere la posizione del Corano e dell’Islam, all’epoca, in ciò che concerne la donna.
La donna nella società greca, per esempio, non era considerata come «oggetto del desiderio». La relazione di piacere era celebrata tra gli uomini. Presso i Greci, la donna aveva uno statuto largamente inferiore a quello degli uomini. I filosofi greci erano tutti uomini.
Esaminiamo la condizione delle donne nella società della penisola araba pre-islamica, in un periodo storico molto lontano da quello dell’apparizione dell’Islam. Vediamo che le donne avevano globalmente una posizione molto forte; una libertà e dei diritti più importanti di quelli degli uomini. Una donna aveva il diritto di ripudiare suo marito. L’inverso era proibito. Ricordatevi di Bilqis la Regina di Saba. L’Antico Testamento e il Corano (Sura delle Formiche) la collocano in una posizione dominante: bella, forte, intelligente. Attenzione, tutto questo si riferisce ad un periodo molto lontano nella storia, prima dell’apparizione dell’Islam!
AN: Questa «libertà» delle donne era applicabile in tutti i campi o aveva delle restrizioni?
MA: Un’altra tradizione è riportata dagli storici dell’epoca pre-islamica e attesta della libertà della donna. Quando, un uomo di ritorno a casa, trovava la porta della sua tenda girata verso l’esterno (contrariamente dunque al senso normale di accostamento) questo voleva dire che gli era proibito entrare, provvisoriamente o definitivamente. A quell’epoca, una donna aveva il diritto di dormire con gli uomini di sua scelta prima del matrimonio. Quando rimaneva incinta e prima della nascita del bimbo, lei sceglieva, in mezzo a quelli che erano stati i suoi amanti, quello che avrebbe assunto la paternità del figlio, anche se concepito con un altro. Naturalmente lei sceglieva il più forte o il più ricco o il più abile, ecc…
AN: Queste sono costruzioni teoriche e a posteriori per giustificare le regole ristrette che l’Islam applica alle donne?
MA: No. Molti scienziati, sociologi e storici guardano al Corano come ad un documento che relazioni un’epoca e testimoni la vita quotidiana, più che a un libro religioso. Loro stessi notano, a giusto titolo, che spesso il testo Mussulmano insista su delle interdizioni. Quando il testo dice «non fate» vuol dire che queste pratiche, ormai vietate, erano diffuse prima dell’apparizione dell’Islam. A quel tempo, ad esempio, era tradizione che gli uomini e le donne effettuassero il pellegrinaggio pagano nudi attorno alla Kaaba. Per questa ragione l’Islam vieta il nudo durante la preghiera e il pellegrinaggio. Come sempre, per comprendere una regola, è importante inserirsi nel contesto socio-culturale, spirituale ed economico della formazione di questa nuova comunità che si è chiamata «Mussulmana».
AN: É così che si spiega il divieto, fatto dall’Islam, di seppellire le figlie femmine (viventi) alla nascita?
MA: Sì. Era una pratica diffusa prima dell’apparizione dell’Islam e che il testo viene a proibire in maniera formale e definitiva. Aggiungo che se la punizione che accompagna il divieto è forte, questo vuol dire che l’atto, ormai proibito, era molto diffuso.
AN: Lei ci dice che le donne disponevano di più diritti degli uomini ed erano più libere ed indipendenti di loro, tuttavia le femmine venivano seppellite vive alla nascita, considerate inutili. Non è una contraddizione?
MA: Quello che vi racconto sulla grande libertà delle donne riguarda un’epoca molto antecedente all’apparizione dell’Islam. Gli uomini, privati dei loro diritti, cominciarono a rivendicare e ad invertire il corso della storia, cambiando progressivamente le condizioni. Parallelamente e di conseguenza, la condizione della donna si è degradata e l’uomo ha preso il sopravvento in una maniera talmente totale che è sembrata una rivincita. Trattasi di una manifestazione di dialogo della storia che assomiglia al movimento del bilanciere. Più noi ci avviciniamo all’apparizione dell’Islam, meno lo statuto della donna è invidiabile.
AN: Alla vigilia dell’apparizione dell’Islam, lo statuto della donna si era dunque gravemente deteriorato in rapporto a quello che era qualche secolo prima. In cosa si manifesta questo degrado?
MA: In molti modi. Abbiamo già parlato del seppellimento dei nuovi nati di sesso femminile. Il ripudio di una donna da parte del suo sposo, la lasciava senza diritti e senza aiuti. C’era un’altra conseguenza evidente del deterioramento della condizione femminile. Quando si guarda la società pre-islamica, ma in un periodo vicino all’apparizione dell’Islam, cioè all’epoca dove le donne erano dominate dagli uomini, ci si rende conto che un uomo si sposava alle sue condizioni e nello stesso tempo col numero di donne che egli voleva, e che spesso dipendevano da lui per sopravvivere; allo stesso modo, l’uomo poteva ripudiarle quando voleva, senza avere obblighi legali vitali nei loro confronti. Abbastanza rapidamente, queste donne ripudiate, che dipendevano dagli sposi per vivere, si ritrovavano nella miseria. Quando non cadevano in schiavitù nel senso più stretto della parola, si abbandonavano alla prostituzione, che è una forma terribile di schiavitù. Per attirare l’attenzione esse avevano spesso il petto nudo, ad immagine delle prostitute sacre, conosciute in Mesopotamia e in India, regioni con le quali la penisola Araba commerciava e aveva scambi culturali e umani intensi.
AN: É dunque alle donne «nella miseria» e «nude» che il Corano chiede di portare il velo?
MA: All’epoca il velo si identificava con l’Islam come simbolo di una dignità ritrovata. La religione chiede alle donne che si convertono di velarsi al fine di distinguersi dalle schiave; come un modo di dire per ognuna: «noi non abbiamo più bisogno di venderci (di essere schiave); la nuova religione ci dà uno statuto e d’ora in poi abbiamo dei diritti. I nostri mariti non possono più ripudiarci a torto o a ragione e se il divorzio è pronunciato, conserviamo mezzi di sussistenza».
Così dunque il velo ha importanza unicamente in funzione del contesto socio-culturale nel quale è apparso. Non è quindi un principio fondamentale dell’Islam.
AN: Lei ci dice che nei primi giorni dell’Islam, il velo era raccomandato come segno ostensibile della «liberazione» della donna. Vi sono altri elementi del testo sacro che confermano questa volontà dell’Islam di liberare la donna rendendola uguale all’uomo?
MA: Nelle altre due religioni monoteiste rivelate, il giudaismo e il cristianesimo, la donna è ritenuta la sola responsabile dell’espulsione dal paradiso. Nell’Antico Testamento è Eva la responsabile del Peccato. Il serpente sedusse Eva che sedusse l’uomo. Per questo, nella Genesi, Dio punì entrambi; condannando il serpente a strisciare e a mangiare la terra e la donna a partorire con dolore e a essere «sottomessa» all’uomo.
Nel Corano, Dio si indirizza «ai due» protagonisti del Paradiso (Adamo ed Eva). Egli usa la forma grammaticale della dualità. Il testo mette l’uomo e la donna in totale uguaglianza nella responsabilità, ma ecco, le interpretazioni coraniche, che sono spesso fatte da uomini, saranno manipolate e si intenderà dire che è stata Eva ad incitare Adamo a mangiare del frutto dell’albero proibito. Il Corano dice il contrario: «Satana li ha sedotti tutti e due»? Sì, io insisto su questa storia biblica e coranica, per dire che essa ha un’influenza attraverso i secoli sulle coscienze e le immaginazioni dei popoli e non per giudicare i testi sacri. Ritorno alla Bibbia per dire semplicemente l’evoluzione degli elementi comuni nelle culture semitiche monoteiste.
AN: Come è stato evocato il velo nel testo del Corano?
MA: Il termine «velo» in francese (e in italiano) è quello che si porta sulla testa; è utilizzato come traduzione della parola araba «hijab». Dal punto di vista linguistico questa traduzione è uno slittamento del senso. Il tema del hijab è affrontato otto volte nel Corano e non una sola volta, per designare l’indumento con cui la donna dovrà coprirsi la testa.
AN: Potreste darci le referenze delle otto Sure in questione?
MA: Nella sura 7 versetto 44 il testo che evoca l’aldilà dice: «Un velo spesso è piazzato tra il Paradiso e l’Inferno (.)». Qui, la parola hijab in arabo prende chiaramente il senso della tenda di separazione, come nelle altre sette Sure, anche se il contesto è diverso.
La Sura 17, versetto 47 prevede la protezione «virtuale» che Dio suscita ai Suoi Profeti quando leggono il Corano: «Quando tu reciti il Corano, noi poniamo, fra te e quelli che non credono nella vita futura, un velo disteso (spesso)».
Nella Sura 19 versetto 17 la parola velo è utilizzata per figurare la distanza geografica che si mette volontariamente tra sé e gli altri: «(v16) Ricorda inoltre nel Libro (Corano), Maria, quando si appartò dalla sua famiglia, in una località Orientale. (v17) E prese, per nascondersi da essi, un velo».
Nella Sura 33 versetto 53, il testo indica a quelli che sono invitati ad entrare nella casa del Profeta ed eventualmente a pranzare, la condotta che devono avere. La Sura raccomanda loro di non attardarsi dopo aver mangiato e di ritirarsi senza intraprendere conversazioni familiari dopo il pasto. E aggiunge: «E quando vorrete chiedere ad esse (alle mogli del Profeta) un oggetto, chiedetelo loro dietro ad un velo; questo sarà più puro per i vostri cuori e per i loro». Anche in questo caso la parola hijab ha il senso di tenda e non quello di un velo che si voglia posare sulle teste delle donne. Solo indirizzandosi alle mogli del Profeta essi hanno il dovere di farlo dietro ad un velo.
Nella Sura 38 molto poetica nel versetto 31 si parla di hijab nel senso di «crepuscolo»: «Quando furono schierati avanti a lui, in sulla sera, dei nobili cavalli, ed egli disse: ‘Invero io ho preferito l’amore del bene terreno alla menzione del mio Signore, fino a che il sole si coprì col velo della notte. Riconduceteli avanti a me’. Allora prese a tagliare le gambe e i colli loro».
La Sura 41, nei versetti 3 e 4 parla di quelli che deviano dall’appello del Profeta: «Egli dice: ‘I nostri cuori sono come entro un velo spesso che ci nasconde riguardo a quello a cui ci inviti; e nei nostri orecchi è durezza di udito; inoltre fra noi e te è steso un velo; fa’ dunque, poiché noi faremo’». Vediamo bene qui quanto il velo (hijab) possa essere positivo (per preservare i credenti che rischiano di soccombere al fascino delle mogli del Profeta), o negativo (poiché impedisce ad alcuni di ascoltare la chiamata alla nuova fede).
La Sura 42 il versetto 50 affronta la parola che Dio trasmette all’uomo. «Non conviene ad alcun uomo che Dio parli a lui, se non per rivelazione o dietro ad un velo, oppure col mandargli un Messaggero (angelo), il quale riveli a lui, per volontà di Dio, ciò che Dio vuole. In verità Egli è eccelso e saggio».
Nella Sura 83 nei versetti 15-16-17, infine, il Testo avverte i miscredenti della loro sorte: «Sì; essi saranno separati, in quel giorno, dalla vista del loro Signore. Indi essi, per certo, bruceranno nel giahîm (fornace), e verrà detto loro: ‘questo è quello che voi trattavate di menzogna’». (NDLR La traduzione utilizza la parola «separazione» per restituire la parola araba «lamahgouboun» costruita sulla base di hijab).
AN: Lei ci dice dunque che i Mussulmani che utilizzano la parola «hijab» per indicare il velo che copre la testa delle donne commettono un controsenso?
MA: Sì. Essi commettono un controsenso linguistico nei confronti del vocabolario coranico. E le donne Mussulmane che dicono che la hijab è citata nel Corano, si sbagliano sul senso della parola. Esse devono comprendere il senso dato alla parola.
AN: Al di là di questo controsenso della parola, quelli che incitano le donne a velarsi, non commettono un altro controsenso?
MA: Al controsenso linguistico, occorre aggiungere un controsenso di base.
Il controsenso di base è il seguente: il velo doveva indicare la donna liberata dalla schiavitù, perché ella si univa alla nuova religione. La comunità si prenderà da quel momento in poi in carico i bisogni di quelle che non riuscivano a provvedere da sole alle loro necessità. All’epoca questa era una «liberazione». Insisto sulla parola «all’epoca» perché oggi, in molti casi, il velo appare come una sudditanza della donna. Così, dunque, esso produce un effetto contrario a quello che si doveva ottenere. Che cosa bisogna privilegiare allora? Il velo costi quel che costi o la sua portata simbolica? Bisogna volere la forma più della libertà?
In realtà il quesito che poniamo è quello della storicità del testo. La rivelazione si è compiuta durante 23 anni di vita profetica. Durante questo periodo, il Profeta ha fatto ben inteso appello alla sua ragione per adeguare la rivelazione, che egli non contesta, alla realtà!
AN: Raccomanda il Corano a tutte le donne di coprirsi la testa e le spalle? E in quale vocabolario lo fa?
MA: Il Corano non si occupa degli abiti delle donne, ma dell’ampio contesto della vita sociale, dell’educazione e della famiglia. Le incita al «pudore».
AN: Lei dice «pudore», e questa parola molto usata tra l’altro dalle donne che portano il velo, ha oggi una netta connotazione sessuale. Non esiste in francese una cattiva traduzione del senso della parola «ihticham»? Non bisogna piuttosto parlare della «buona creanza» piuttosto che del pudore?
MA: Lei ha probabilmente ragione. Il Corano mira innanzitutto alla preservazione sociale e in questa lettura Esso invita più alla buona creanza che al pudore con la sua connotazione sessuale, almeno quando tratta degli abiti. L’ingiunzione, però, che mira alla buona creanza nel vestire riguarda solamente la donna! Questo è un grande errore commesso dagli interpreti che non hanno studiato abbastanza. Ogni volta che il Corano parla di come vestirsi, parla ai due sessi.
AN: Per esempio?
MA: Nella Sura 24 versetti 30 e 31: «Dì ai credenti che abbassino i loro sguardi, di essere casti; questo sarà più puro per loro. Dio è bene informato di quello che fanno. Dì inoltre alle credenti che abbassino i loro sguardi, di essere caste, di non mostrare all’esterno i loro ornamenti, di abbassare il loro «velo» sul «loro seno», e non mostrino i loro ornamenti che ai loro mariti o ai padri loro, o ai padri dei loro mariti o ai figli loro o ai figli dei loro mariti, o ai fratelli loro o ai figli dei fratelli loro, o ai figli delle sorelle loro…». Le letture del testo oggi, dovevano illuminarci su un punto essenziale: il legame tra lo (gli) scopo(i) e il (i) mezzo(i), o ancora imparare a distinguere tra lo stabile e il variabile, essendo lo stabile l’obiettivo e il variabile il modo usato per raggiungere l’obiettivo. Nel caso della Sura 24, lo scopo era che gli uomini e le donne fossero liberi e casti. Questa è la parte stabile del messaggio, la sua intenzione spirituale. Il mezzo è dunque secondario.
AN: Con quale parola in arabo il Corano indica ciò che le donne devono calare sul loro seno?
MA: La Sura «Al Nour» (La Luce) che abbiamo citato, ci propone la parola «Khimar». «Wa liyadrabna bi khumurihenna ala jouyoubihenna». Domandarsi che cosa sono le «khumurs» apre già una discussione importante: la miglior traduzione ammessa della parola indica che è un abito largo. La parola «jouyoub» vuol dire «tasche» in arabo moderno, ma un poeta pre-islamico parlando della bellezza di una bella donna, cita i suoi «jouyoub» e noi apprendiamo che la donna lasciava nudo, cioè visibile, il suo seno. Il testo sacro invita dunque le donne a non mostrare i loro seni e a calare i loro ampi vestiti sul loro seno, a svelarsi soltanto davanti ai loro, a non avere un comportamento provocatorio. Niente di troppo banale, tutto sommato come raccomandazione. Questo invito alla moderazione si ritrova nelle tre religioni monoteiste. Nell’Islam, questo invito è indirizzato tanto alle donne quanto agli uomini.
AN: Bisognerebbe quindi comprendere dal vostro proposito che il «khimar» sia più un abito sulle spalle che un velo che partirebbe dalla testa, coprendo essa oltre che il petto?
MA: Assolutamente. Gli anziani commentatori, come Al Tabari per esempio, erano forse più vicini al senso esatto del testo, perché sapevano a che cosa il testo alludeva con precisione e quale era la situazione preliminare al testo e che il testo sacro dunque andava a modificare. Come prima dell’apparizione dell’Islam, certe donne avevano il seno nudo per le ragioni già spiegate, il testo allora viene a correggere gli effetti di una situazione pregiudizievole per i diritti della donna. Così dunque, il passo essenziale del testo, il proposito principale, non è quello di velare o no la testa o il seno delle donne, ma di conferire loro libertà e protezione in rapporto al contesto nel quale si trovavano. E se oggi il contesto nel quale esse si trovano intende il velo come una sottomissione, allora esse possono mostrare la testa nuda per dichiarare la loro libertà acquisita nell’Islam!
Il Corano prevede una soluzione quasi «tecnica» per raggiungere l’obiettivo (lo stabile). La soluzione tecnica alla sottomissione delle donne, all’epoca, è il velo. Lo stabile è dunque la libertà degli uomini e delle donne e la loro uguaglianza. È quindi necessario considerare solo lo stabile. Il velo è un mezzo. Non è lo scopo. È variabile. Questo è ciò che diciamo, noi commentatori anziani, quando spieghiamo che il Corano deve essere compreso in rapporto a quello che lo precede e al suo contesto. Lo statuto delle donne del tutto mediocre in un tempo prossimo all’apparizione dell’Islam e che l’Islam viene a migliorare. Se la situazione delle donne si deteriorasse di nuovo, oggi per esempio, lo spirito del Corano dovrebbe prevalere sull’interpretazione. Questo spirito è liberare gli oppressi. Questa è la parte stabile del messaggio. Il mezzo impiegato è variabile.
AN: A chi si indirizzano le ingiunzioni sull’abbigliamento del Corano e quali ne sono i contorni?
MA: Nella Sura 33, versetto 59, il Corano ci dà una lista precisa di ciò che occorre fare e a chi si indirizza.
«Oh Profeta, dì alle tue mogli, alle tue figlie e alle donne dei credenti, di coprirsi con i loro «veli» (bisogna comprendere qui la parola velo nel senso di vestiario); questo sarà il modo più acconcio perché esse vengano riconosciute e non vengano offese da atti o parole sconvenienti. E Dio è indulgente e compassionevole».
Precisiamo subito che la parola tradotta con «velo» in molte traduzioni di qualità, è in realtà in arabo «jalbibihenna» che è un possessivo femminile plurale di djellaba (galabeyya in egiziano). È dunque palese che non si tratti di un velo sulla testa quello di cui si parla, ma di un abbigliamento con cui ci si copre. «Coprirsi con i loro veli» non indica dunque per nulla che la testa debba essere coperta. La copertura della testa è più in rapporto con le abitudini di comodità che con un simbolo religioso qualunque.
È sufficiente vedere una donna (o un uomo!) Mussulmano in occidente o in oriente, nei campi, nel deserto o in mare, per capire che lavorano meglio con i capelli raccolti e la testa protetta dal sole. In più, il Corano non invita a «nascondersi» coprendosi, ma ad «mostrarci agli altri come un essere libero».
Lo scopo di questa Sura non è di «camuffare» l’eventuale avvenenza femminile, ma di permettere alle donne, anticamente oggetti di brame riduttrici della loro libertà, di affermare che sono ormai libere. È questo che bisogna ricordare. Ripeto: se oggi il velo indica la sottomissione di una donna, allora è urgente che le donne se ne liberino. Per poter rispondere a questo quesito, domandiamoci se l’Islam invita alla sottomissione. E a chi? All’uomo o a Dio? In questo ambito, la «copertura» si indirizza a tutte le donne, spose e figlie del Profeta, spose dei credenti. Questo vuol dire che l’Islam rende libere tutte quelle che l’abbracciano.
AN: Come distinguere nel testo tra ciò che si indirizza alle spose del Profeta e ciò che si indirizza a tutte le credenti?
MA: Sura 33 versetto 32 e 33: «O mogli del Profeta, voi non siete come una qualsiasi delle donne; se temete Dio, non siate troppo compiacenti nel discorrere, sì che vi abbia a desiderare chi ha, in cuor suo, infermità; tenete invece un linguaggio dignitoso. Rimanete, inoltre, tranquille nelle vostre case e non fate pompa di ornamenti, come al tempo dell’ignoranza (Jahiliyya) antecedente (idolatria)». In Arabo questo è: Yanissa’a al Nabi lastunna ka’ahad minal nisa. Tabari ci spiega che il senso del testo è che le donne non assomiglino, uscendo dalle loro abitazioni, alle schiave. La libertà portata alle donne, la cui condizione era cattiva, ecco il senso profondo ed oggi perso del testo.
AN: Ciò che concerne le spose del Profeta, presentate come una sorta di modello della donna, si può applicare a tutte le donne Mussulmane preoccupate di tendere alla perfezione?
MA: La mia risposta deve essere in due tempi: Per parlare dei credenti dei due sessi il Corano fa uso della parola «mou’menina» e «mou’menati»: «qul lelmou’ menina (…) wa qul lelmou’menati». «Dì ai Credenti (…) e dì alle credenti». Quando parla delle spose del Profeta, utilizza la parola spose. Inoltre la Sura 33 versetto 32 spiega bene che «le spose del Profeta non sono da confrontare con nessuna altra donna». Il Corano non chiede alle donne della comunità di assomigliare alle spose del Profeta. Tuttavia, non è così formalmente vietato, le donne musulmane possono cercare tra le spose del Profeta, un modello da seguire. È importante, però, che esse seguano l’esempio della spiritualità e della libertà delle spose del Profeta, e non che cerchino di imitarle senza comprendere le ragioni dei gesti delle spose del Profeta. La ricerca e l’affermazione della libertà devono prevalere.
Attenzione comunque all’idea che consiste, per alcune donne, di applicare a loro stesse ciò che è esigibile solo dalle donne del Profeta. Per loro è proibito, ad esempio, risposarsi dopo la morte del Profeta. Perché una donna Mussulmana vedova trova salutare, generalizzando le condizioni imposte alle sole spose del Profeta, che le vedove musulmane non possano risposarsi?
AN: Perché le donne Mussulmane, nei paesi Mussulmani, si velano?
MA: Occorre effettuare le ricerche a più livelli: scavare nella storia, le tradizioni, le culture dei popoli. Quando ci si trova in un campo strettamente religioso, al livello del «sacro», quando si ricercano i doveri dei credenti, il lecito e l’illecito, la punizione, dobbiamo assolutamente ricercare «lo spirito del testo», cioè la sua parte stabile.
Gli uomini cercano altrove in un rifugio migliore del loro ambiente naturale immediato che è quello della miseria economica e dell’indigenza sociale e culturale.
Per ciò che riguarda il velo, c’è la tendenza oggi a voler mescolare tutto. È un comportamento spesso legato all’ignoranza e alla lettura del testo a un solo livello, cioè senza l’approfondimento storico. Il messaggio dell’Islam è al di fuori del tempo. Come del resto quello delle altre due religioni monoteiste. Esso, però, è comprensibile se ci si riporta al contesto nel quale il Corano è stato rilasciato. Questo è esattamente ciò che non fanno (non fanno più) i Mussulmani oggi. Così, certi folli, certi fondamentalisti, mossi da motivi che non hanno nulla a che vedere con la fede, presentano alle masse ignoranti e analfabete una lettura limitata e orientata del testo. Per avere il coraggio di discuterla, bisogna avere la cultura della discussione e del dibattito. Questo si impara nelle famiglie e nelle scuole, ma ciò non è il caso nella grande maggioranza dei paesi Mussulmani (e non mussulmani!) oggi. Allora le donne si velano! Gli uomini cercano rifugio in un luogo migliore del loro ambiente naturale circostante, che è quello della miseria economica e dell’indigenza sociale e culturale. Progressivamente, questo luogo si è trasformato in un «dopo» mercanteggiato. Come la vita quaggiù è difficile e miserabile, si sono riservati un dopo migliore. E hanno donato a Dio «dei pegni» della loro buona condotta sulla terra, applicando ciò che è presentato dai manipolatori e dagli ipocriti come fede musulmana, deviata dal suo senso iniziale e «venduta» oggi con la sola lettura dell’integralismo che vela le donne e urla il suo odio «per l’Occidente» in particolare, e per gli «altri» in generale. La lotta di classi che si sviluppa in seno ad uno stesso paese o in seno ad una stessa società, è diventata una lotta di regioni in seno ad un mondo globalizzato. Questo si esprime, fra l’altro, con il verso di un Islam allontanato dal suo senso, sotto l’influenza di ricchi ignoranti mercanti di petrolio del mondo mussulmano e altrove.
AN: Cosa dite alle donne e alle giovani musulmane che si velano in Francia?
MA: Prima di tutto, se vogliono dirsi Mussulmane, domando loro di conoscere bene la loro religione. Vale a dire i testi e la sua storia. Conoscere prima di scegliere. Conoscere e discutere. E scegliere poi quando fossero adulte in età e in sapere. In seguito le invito a parlare in libertà.
La libertà non è velarsi se esse lo vogliono. Si tratta di affermarsi come libere in una società che apre loro le vie della libertà. Esse sono francesi. Sono dunque una parte della società francese. Se il velo è un ostacolo alla loro libertà, come dire alla loro immersione totale nella loro società, devono allora riflettere e cercare di appropriarsi dei valori della società francese che è la loro. Le giovani Mussulmane devono cercare e parlare dei valori coranici che s’indirizzano all’umanità intera. Non si devono focalizzare sul velo o altri soggetti simili che dipendono più da un contesto variabile che non da una visione stabile del mondo.
N.B. Per le citazioni del Corano, la traduzione utilizzata è quella della Editore Ulrico Hoepli Milano. Originale in francese di Denise Masson, Essai d’Interprétation du Coran Inimitable, Dar Alkitab Allubnani, Beyrouth, Liban.